33° Domenica del tempo ordinario (forma ordinaria)

(Dn 12,1-3;   Ebr 10,11-14.18;   Mc 13,24-32)

Duomo di Belluno, sabato 14 novembre 2015

Il linguaggio apocalittico è un tipo di linguaggio abbastanza presente nella Bibbia. Abbiamo un libro intero della Bibbia scritto nel linguaggio apocalittico, il libro dell’Apocalisse. Ma ci sono brani scritti nel linguaggio apocalittico nei libri dei profeti, ad esempio in Isaia, in Amos, in Sofonia, in Daniele. La prima lettura che abbiamo ascoltato, tratta dal libro di Daniele, è scritta nel linguaggio apocalittico. Ci sono brani scritti in questo linguaggio anche nei Vangeli. Apocalittico è il linguaggio del brano di Vangelo che ci è stato ora proclamato.

Caratteristica del linguaggio apocalittico è quella di ‘rivelare’; infatti ‘apocalisse’, parola greca, significa ‘rivelazione’. Con il linguaggio apocalittico l’autore biblico vuole ‘rivelarci’, vuole ‘svelarci’ ciò che sta accadendo, ciò che accadrà; e lo fa ricorrendo a immagini grandiose, cosmiche, planetarie, alle volte terrificanti.  Abbiamo sentito: “Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”.

Con queste immagini l’evangelista non vuole tanto rivelarci ‘come’ sarà la fine del mondo, ma vuole rivelarci che ‘ci sarà’ una fine del mondo; che questa realtà, così come essa ora è, non è eterna e definitiva; verrà cambiata, verrà trasformata; Dio la cambierà. Così come essa ora è, la realtà è passeggera: “Cieli e terra passeranno”, ci ha detto il Vangelo.

Questo messaggio, questa indicazione, viene a correggere un atteggiamento e una inclinazione che l’uomo sente molto forte in sé: quella di mettere radici profonde e, intenzionalmente definitive, in questa realtà, nella realtà del mondo. Mentre tutto è di passaggio: “Cielo e terra passeranno”.

Quanto poco avveduto, dunque, sarebbe l’uomo che cercasse in tutti i modi di arricchire, di ammassare, di capitalizzare; l’uomo che cercasse in tutti i modi di crearsi attorno una situazione di potere, di comodità e di piacere, quasi che in questa situazione egli potesse rimanere in eterno! “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?”, dice Gesù a conclusione della parabola dell’uomo ricco, che aveva riempito i suoi magazzini di grano; anzi, che aveva demolito i magazzini che aveva, per costruirne di più grandi, perché il grano raccolto dai campi quell’anno nei primi magazzini non ci stava! (Lc 16-21).

Anche san Paolo ci avverte della precarietà del mondo in cui siamo, quando ai Corinzi scrive: “Il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo” (1Cor 7,29-31).

Tutto passa, ma ciò non è rovina: noi stiamo andando verso qualcosa che dura e che ha valore di eterno. Eterno è Dio; eterna è la vita con lui; eterna è la verità; eterna è la bontà; eterna è la carità. Tutto passa di quaggiù, ma c’è qualcosa che resta. Ogni atto di fede, ogni atto di amore a Dio, ogni gesto di carità verso il fratello, ogni dovere compiuto, ogni dolore sopportato e offerto, ogni bene che facciamo, sia pur piccolo, è cosa che resta, è statura di eternità per noi; è bene che ci ritroveremo un giorno in paradiso a nostra gloria eterna.

Ci dia il Signore un grande dono di sapienza: la sapienza di non attaccarci alle cose che passano quasi fossero eterne, e di costruire, attraverso le cose che passano, ciò che è eterno e che durerà per sempre.

don Giovanni Unterberger

 

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