2° Domenica di Quaresima

(Gn 15,5-12.17-18;   Fil 3,17-4,1;   Lc 9,28b-36))

Duomo, sabato 20 febbraio  2016

A nessuno piace essere brutto. Desideriamo tutti essere belli, per lo meno discretamente belli. Noi sappiamo di essere di più che corpo, molto di più; il corpo non esaurisce tutta la nostra persona e non costituisce neppure l’elemento più importante della nostra persona; eppure al nostro corpo ci teniamo, desideriamo che sia bello, che sia accettabile al nostro prossimo. E lo curiamo. C’è chi ricorre anche alla chirurgia estetica.

Col passare degli anni, e con l’avanzare dell’età, il nostro corpo si deteriora, perde in bellezza, in freschezza, in agilità. Noi anziani, da giovani, eravamo più belli… Ma non ci avviliamo. San Paolo ai Corinzi scrive: “Non ci scoraggiamo, fratelli; ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16). L’apostolo pone le cose in modo interessante, e molto consolante: c’è qualcosa in noi e di noi che va verso il meno, ma c’è qualcosa in noi e di noi che può andare verso il più. E in contemporanea! Questo qualcosa che può andare verso il più ci interessa, ci sta a cuore e ci piace, perché è la parte più nobile e più importante di noi, quella sulla quale noi possiamo realmente e profondamente agire; mentre l’altra parte, il corpo, va inarrestabilmente e ineluttabilmente verso il meno; fino alla morte.

Gesù sul monte si trasfigurò. Il suo corpo doveva essere già bello di suo; il corpo di Gesù attirava e affascinava la gente: il suo sguardo era dolce, mite; la sua parola era quieta, suadente; il suo portamento era aggraziato, misurato. Ma quel giorno sul monte Gesù fece vedere ciò che egli era dentro: la sua dimensione interiore, la sua divinità.  Pietro, Giacomo e Giovanni ne rimasero colpiti, estasiati: “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. I tre apostoli non sarebbero più scesi da quel monte, non avrebbero più voluto staccare gli occhi da quella visione, da quel Gesù così bello!

Belli ‘dentro’ possiamo diventare anche noi; il nostro uomo interiore può rinnovarsi di giorno in giorno, ci dice san Paolo. Un’opera di trasfigurazione può e deve compiersi nella nostra persona, nella nostra vita. E’ ciò che Dio vuole per noi. Il disegno del Padre, infatti, dice ancora san Paolo, è che noi “diventiamo conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29). Noi, fratelli di Gesù, fratelli somiglianti al fratello maggiore. Noi, fratelli trasfigurati in lui. Il Padre dal cielo, guardando sulla terra, dovrebbe vedere ‘tanti Gesù’; dovrebbe non riuscire quasi più a distinguere Gesù da noi, tanto noi assomigliamo a Gesù!

Il Signore ci dice come ciò può avvenire. “Ascoltatelo”, disse la voce uscita dalla nube sul Tabor. Ascoltare Gesù, ecco il modo per trasfigurarci in lui. ‘Ascoltarlo, o -che è lo stesso- ‘guardarlo’. Guardare Gesù in azione mentre si alza al mattino presto a pregare e a stare con il Padre; mentre si china sui malati, sui bisognosi; mentre accoglie e tratta con misericordia i peccatori, coloro che hanno sbagliato nella vita; mentre sopporta con pazienza l’indifferenza, la durezza dei cuori, l’ostilità; mentre sulla croce perdona e chiede al Padre il perdono per i suoi crocifissori.

Guardare a Gesù, ascoltarlo, ci trasfigura. La sua bellezza diventa la nostra bellezza; e noi diventiamo belli; belli dentro, nel cuore. Il mondo è bello, Dio lo ha creato bello. Dio ha creato bello anche l’uomo. L’uomo poi, purtroppo, si è rovinato, si è abbruttito, ma è aperta a lui la strada per recuperare l’antica primigenia bellezza. La strada, la via, è ascoltare Gesù, è guardare a Gesù; è Gesù stesso la strada, la via! La sua trasfigurazione ci chiama, ci invita e ci vuole ‘trasfigurare’.

Contempliamo Gesù, e diventeremo ‘Gesù’. Si diventa ciò che si contempla.

don Giovanni Unterberger

 

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