Venerdì Santo 2016

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(Is 52,13 – 53,12;   Ebr 4,14-16; 5,7-9;   Gv 18,1 – 19,42)

Perarolo di Cadore, 25 marzo 2016

“Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”, ci ha detto l’evangelista Giovanni a conclusione del suo racconto della Passione di Gesù. Tra poco il sacerdote scoprirà la croce e noi guarderemo il Crocifisso; lo guarderemo e lo baceremo. L’abbiamo trafitto noi quel Crocifisso. Quando, e come l’abbiamo trafitto?

Egli è la verità, ed ogni volta che noi abbiamo preferito alla verità la menzogna, l’abbiamo trafitto. Egli è l’amore, ed ogni volta che noi abbiamo preferito all’amore l’egoismo, lo abbiamo trafitto. Egli è la mitezza, e ogni volta che noi abbiamo preferito alla mitezza la violenza, lo abbiamo trafitto. Egli è la purezza, e ogni volta che noi abbiamo preferito alla purezza la lussuria, l’abbiamo trafitto. Egli è il Figlio di Dio, Dio egli stesso, e ogni volta che noi abbiamo preferito a lui una creatura di questo mondo, lo abbiamo trafitto.

Le piaghe che coprono il suo corpo, le spine che gli cingono il capo,

il sangue che gli cola dalle ferite, l’arsura di sete infinita che gli seccò la gola… tutto questo glielo abbiamo procurato noi. Non possiamo scaricare tutta la responsabilità sui soli ebrei che lo hanno condannato a morte e  su Pilato che lo ha consegnato ai crocifissori; egli, Gesù, è morto a causa dei peccati di tutti noi, dice san Paolo (1Cor 15,3).

Come guardare allora a quel Cristo che abbiamo trafitto? Forse ci viene da distogliere lo sguardo da lui, e ci viene da guardare altrove perché troppo carico di rimorsi è lo sguardo su di lui, vittima del nostro male. Ma è egli stesso che ci invita a sé. “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi ristorerò” (Mt 11,28). Ad opprimerci sono le nostre colpe, i nostri peccati. Ma, da lui chiamati ed invitati, noi ci muoviamo e guardiamo con fiducia e confidenza a colui che abbiamo trafitto.

Che cosa ci dirà? Ci dirà che ci vuole bene; ci dirà che ha compassione di noi, delle nostre debolezze, e anche delle nostre cattiverie; ci dirà che ci perdona, che con il suo sacrificio vuole rinforzarci nel bene e insegnarci ad amare; darci nuova vita.

San Pietro Crisologo mette in bocca a Gesù crocifisso queste parole: “Forse vi copre di confusione la gravità della passione che mi avete inflitto. Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano, tanto, dolore, quanto imprimono più profondamente in me l’amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno. Il mio corpo disteso anziché accrescere la pena, allarga gli spazi del cuore per accogliervi. Il mio sangue non è perduto per me, ma è donato in riscatto per voi. Venite, dunque, ritornate. Sperimentate la mia tenerezza, che ricambia il male col bene, le ingiurie con l’amore, ferite tanto grandi con una carità così immensa”.

Come non andare allora da questo Signore? “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. Un bel inno della Liturgia canta: “Quis non amantem rèdamet? quis non dilectus dìligat, et corde in isto sèligat aeterna tabernacula?” – “Chi non riamerà colui che lo ha tanto amato? Chi non vorrà bene a colui che gli ha voluto così profondamente bene, e non fisserà in quel cuore la sua stabile dimora?”.

Ecco l’invito e la provocazione del Venerdì Santo, l’invito e la provocazione della croce e del Crocifisso. Lo ameremo questo Gesù? gli vorremo bene? Un bene che non resti solo emozione, semplice sentimento, ma che si tramuti in opere concrete: in tempo dato a lui per contemplarlo; in lotta contro il male e contro il peccato; in opere di bontà e di carità verso il prossimo; in accettazione e offerta delle nostre pene. Sia questo il contenuto del bacio che ora daremo al Crocifisso.

 

don Giovanni Unteberger

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