Solennità del Natale del Signore (messa del giorno)

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(Is 52,7-10;   Ebr 1,1-6;   Gv 1,1-18)

Duomo di Belluno e chiesa di s. Stefano, 25 dicembre2016

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. E’ il Natele del Signore. Fermiamoci a meditare.

“Il Verbo si fece carne”. Chi è il Verbo? E qual è la carne che egli assunse e di cui egli si rivestì? Sono agli antipodi l’uno dell’altra. Il Verbo è Dio, la carne è l’uomo. Il Verbo è il creatore, la carne è la creatura. Il Verbo è potenza, la carne è debolezza. Il Verbo è santità, la carne è peccato. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Il Verbo annullò ogni distanza tra sé e la carne, si fece carne, si fece ‘noi’.

Cosa mai può aver spinto il Verbo ad annullare tale grande e infinita distanza? Solo l’amore; solo l’amore che egli nutriva per noi! Di certo il Verbo non aveva nulla da guadagnare a farsi carne; avrebbe però guadagnato noi; e questo era il guadagno che gli stava a cuore, perché il Verbo non avrebbe potuto sopportare che noi fossimo andati perduti. Ci amava troppo! eravamo opera delle sue mani!

“Il Verbo si fece carne”. San Bernardo di Chiaravalle davanti al mistero del Natale esclama, preso da fervore: “Voi che giacete nella polvere, svegliatevi e lodate, perché viene il medico per i malati, il redentore per coloro che sono in schiavitù, la via per coloro che si erano perduti, la vita per i morti. Viene Colui che getterà nel profondo del mare tutti i nostri peccati, che risanerà tutte le nostre malattie, che sulle sue spalle ci riporterà all’origine della nostra dignità. Grande è questa potenza, ma ancor più mirabile è la misericordia, perché ‘così’ volle venire Colui che si poteva accontentare di aiutarci”.

“Il Verbo si fece carne”. Il Verbo avrebbe potuto accontentarsi di aiutarci dal Cielo, rimanendo egli in Cielo; avrebbe potuto dal Cielo perdonare i peccati degli uomini; avrebbe potuto mandare da lassù la sua legge sulla terra; da lassù sfolgorare davanti alla coscienza di ogni uomo, e salvarci così… E, invece, Colui che poteva accontentarsi solo di aiutarci, volle venire e farsi carne, volle venire tra noi, ad abitare tra di noi, ad essere uno di noi. “Vedi se trovi in ciò altro che amore!”, esclama sant’Agostino.

Noi siamo davanti alla culla di Betlemme. Quella culla, per la verità, non è una culla, è una mangiatoia, ci dice il Vangelo di Luca (cfr Lc 2,7. 12. 16); è il luogo per il cibo degli animali. Umiltà di Dio che si lasciò deporre in una mangiatoia! Quel Bambino nella mangiatoia si lascerà a sua volta mangiare ed essere ‘mangiatoia’ per noi. Egli vorrà essere nostro cibo, nostro alimento, nostra sostanza. Ci ciberà con la sua parola e con i suoi insegnamenti di verità, che saranno luce al nostro cammino e senso al nostro vivere. Ci ciberà con l’Eucaristia, che sarà lui stesso. Gesù nacque a Betlemme; Betlemme in ebraico è ‘Bet-lèchem’ ( בֵית-לֶחֶם ), che significa ‘casa del pane’. Gesù nacque nella ‘casa del pane’, e sarebbe stato per noi pane di vita, pane di virtù, pane di risurrezione e di eternità.

Le parole umane non bastano per parlare del Natale; le parole umane possono dire solo qualcosa di questo immenso mistero. Ce lo può svelare più profondamente il Signore, lui che lo ha voluto e lo ha realizzato per noi. Ecco allora, non priviamoci di una cosa: fermiamoci in questi giorni in meditazione e in contemplazione davanti al presepio, davanti al Verbo fatto carne. Guadiamo quel bambino; guardiamolo, fissiamolo, contempliamolo; non siamo troppo veloci a passare ad altro. Non sforziamoci neppure troppo di parlare noi a lui; lasciamo che egli parli a noi. Egli è il Verbo, la Parola, e di certo parlerà. Se noi sapremo stare in silenzio, egli ci parlerà. Ed allora il Natale entrerà profondamente nel nostro cuore e nella nostra vita.

don Giovanni Unterberger

 

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