15a domenica del Tempo Ordinario (forma ordinaria)

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(Is 55,10-11;   Rm 8,18-23;   Mt 13,1-23)

 

Duomo di Belluno, sabato 15 luglio 2017

Gesù era un esperto parabolista, usava le parabole con estrema abilità. Con esse trasmetteva i suoi insegnamenti su Dio, sul Regno di Dio, sul corretto modo di comportarsi così da farsi facilmente capire dalla gente. Partiva dall’esperienza comune: un seminatore che semina, come nel Vangelo che abbiamo ora ascoltato; un pastore che ha perso una pecora; un uomo che ha trovato un tesoro in un campo; una rete gettata nel lago che pesca ogni genere di pesci.

Le parabole, però, pur partendo dall’esperienza comune, richiedevano uno sforzo di comprensione da parte di chi le ascoltava. Le parabole, infatti, contenevano tutte un qualcosa di particolare, di inverosimile, un elemento strano che l’ascoltatore non si sarebbe aspettato. L’ascoltatore non si sarebbe aspettato che un seminatore gettasse il seme, oltre che sul terreno buono, anche tra i sassi, tra le spine e i rovi, sulla strada, come il seminatore della parabola; non si sarebbe aspettato che un pastore lasciasse incustodito l’intero suo gregge nel deserto per andare in cerca di una sola pecora perduta, come il pastore della parabola. A questo elemento particolare, inaspettato e fuori del pensiero comune, Gesù affidava il suo messaggio e l’insegnamento che intendeva dare. Per cui era necessario che la gente aprisse il cuore, disponesse la mente ad una verità oltre il proprio pensiero.

Questo è ciò che Gesù chiedeva ed esigeva con le parole: “Parlo loro con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”. Non è sufficiente -voleva dire Gesù- guardare per vedere, occorre ‘voler vedere’ ciò che si guarda; e non è sufficiente udire per ascoltare e per comprendere, è necessario ‘voler ascoltare’ e ‘voler comprendere’ ciò che si ode. Questo, del resto, è il senso delle parole: “A colui che ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha”; esse significano: ‘A colui che ha la buona disposizione di mente e di cuore di ascoltare e accogliere quanto io dico con le parabole, sarà dato di capirle e comprenderle, e sarà nell’abbondanza, in quell’abbondanza che la mia verità dona; a colui invece che non ha tale disposizione di mente e di cuore, sarà tolto anche quello che ha, cioè verrà a perdere anche quel poco di verità che possiede, perché si sarà chiuso a me e alla mia rivelazione’.

Ecco dunque che Gesù invita ad essere ‘terreno buono’ per le sue parabole e per i suoi insegnamenti. ‘Terreno buono’ è l’animo aperto, disponibile; l’animo che non resta chiuso e fermo in se stesso e nel mondo che lui si è costruito, ma è pronto e capace di lasciarsi sorprendere dalle sorprese di Dio, dal pensiero di Dio, dalla novità di Dio.

‘Terreno buono’, per assurdo, è anche la strada, sono anche i sassi, le spine e i rovi. Assurdo per noi, per il nostro modo di pensare, ma non per Dio; non per il seminatore della parabola, che getta il seme con fiducia anche sulla strada, tra i sassi e tra le spine. Quei terreni, di per sé inospitali al seme, se non si apriranno al seme e non lo lasceranno lavorare, resteranno sterili e infruttuosi; ma se vi si apriranno e lo lasceranno agire, porteranno frutto. Perché ‘terreno buono’ è quello che sa accogliere.

E infatti quante volte è accaduto che persone lontane da Dio, grandi peccatori, persone che avresti detto ‘strada’, ‘sassi’ e ‘rovi’ davanti a Dio e alla sua azione, terreni assolutamente refrattari, si sono convertite e hanno iniziato una vita nuova, addirittura una vita santa! Per il Signore non c’è terreno sassoso o spinoso che non possa portare frutto. Decisiva è l’apertura di cuore dell’uomo.

Questa è la domanda che il Vangelo di oggi ci mette davanti: ‘Il tuo cuore è aperto a Dio, alla sua Parola, alla sua voce? Quanto è aperto? Poco? molto?

don Giovanni Unterberger

 

 

 

 

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