12a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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(2 Cor 3,4-9;  Lc 10,23-37)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 12 agosto 2018

 

Le prime righe di questo brano evangelico, le righe che precedono la parabola del buon samaritano, sono particolarmente belle e forti; ed oltre che belle e forti sono anche particolarmente, e salutarmente, provocatorie. Gesù dice: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico infatti che molti profeti e re vollero vedere le cose che voi vedete e non le videro, e udire le cose che voi udite e non le udirono”. Con queste parole Gesù stava cercando di portare le persone, sue contemporanee, a prendere coscienza della grazia e del dono straordinario che era loro dato nell’avere lui stesso lì presente, lui stesso con loro.

Per noi resta un mistero come mai il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, si sia incarnato molto tempo dopo che gli uomini erano comparsi sulla terra (gli scienziati pensano che l’uomo viva sulla terra da più di centomila anni), e il Figlio di Dio si è incarnato solo duemila anni fa… Dobbiamo pensare che Dio, nella sua bontà, essendo egli Padre anche degli uomini vissuti prima di Cristo, abbia in modi e per vie a noi nascoste e misteriose accompagnato, sostenuto e offerto salvezza a tutti gli uomini, fin dall’inizio; ma certamente i contemporanei di Gesù, la gente di Palestina che lo vedeva, che lo vedeva operare, che ne ascoltava gli insegnamenti, possedeva una grazia in più, un dono grande in più. Infatti Gesù disse: “Beati voi che vedete e che udite cose chi è vissuto prima di voi, perfino profeti e re, non hanno visto e non hanno udito”.

A noi è stata data la medesima grazia: noi abbiamo ricevuto molto di più di quanto fu dato agli uomini vissuti prima di Cristo. E’ vero, noi Cristo non lo abbiamo visto con gli occhi del corpo, ma leggendo i Vangeli noi vediamo che cosa egli ha fatto, leggendo i Vangeli noi udiamo quanto egli ha detto. Cose meravigliose egli ha fatto, cose straordinarie egli ha detto! E noi ne siamo venuti a conoscenza.

Che grazia sapere quanto è buono Dio, rivelatoci da Gesù; sapere che siamo non solo ‘creature’ di Dio, ma ‘figli’ di Dio, chiamati a partecipare alla sua stessa vita e alla sua stessa felicità! Che dono possedere i Sacramenti, l’Eucaristia, che è Cristo stesso, vivo e vero, reale, presente tra noi; e che grazia avere ricevuto da Gesù Maria come nostra madre, a cui rivolgerci e a cui presentare le nostre necessità! Beati i nostri occhi per quello che vedono, e i nostri orecchi per quello che odono! E’ davvero un tesoro grande e prezioso, quello che ci è stato messo nelle mani e che può arricchire la nostra vita! Ma noi, questo tesoro, lo consideriamo? lo consideriamo abbastanza?

Ecco allora che le parole di Gesù: “Beati voi che vedete, beati voi che udite cose che gli antichi non videro e non udirono” diventano parole provocatorie, parole che ci chiamano a responsabilità, ad un esame di coscienza. La parabola dei talenti (cfr Mt 25,14-30) ci si fa avanti con forza. Che conto facciamo noi del ‘talento Gesù’? quanto lo apprezziamo? Lo stiamo ‘trafficando’ e mettendo a frutto? Il suo amore, la sua parola, la sua grazia entrano in profondità nella nostra vita? La persona di Gesù, la sua presenza, è ciò che cerchiamo, è ciò che desideriamo, è ciò che fortemente amiamo?

Noi non sappiamo come sarebbe stata la nostra condizione se fossimo vissuti prima di Cristo; certo è che ora, dopo che Gesù è venuto sulla terra, è vissuto, è morto ed è risorto per noi; dopo che ci ha parlato e ci ha insegnato chiaramente la via, e dopo che ci ha dato e messo a disposizione i molti mezzi di salvezza, noi dobbiamo riconoscere come vere, profondamente vere, le parole di Dio riportate dal profeta Isaia: “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?” (Is 5,4). Dio non poteva fare di più per noi! ci ha dato nientemeno che il suo Divin Figlio; non poteva fare di più! Con la sua grazia cercheremo di corrispondere a così grande dono.

don Giovanni Unterberger

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