22a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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(Fil 1,6-11;   Mt 12,15-21)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 21 ottobre 2018

“Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”. La parola ‘rendete’ traduce la parola greca ‘apòdote’ ( ̓απόδοτε) del Vangelo. ‘Apòdote’ è l’imperativo aoristo del verbo ‘apodìdomi’, che propriamente significa ‘restituire’; per cui le parole di Gesù alla lettera suonano: “Restituite a Cesare (cioè al potere civile, allo Stato) quello che è di Cesare, e restituite a Dio quello che è di Dio”. Gesù parla di ‘restituzione’. Egli intende dire: dallo Stato e da Dio voi ricevete molte cose, molti beni; è vostro dovere restituire. Non potere solo ricevere, dovete anche dare.

L’apostolo Paolo, nella lettera ai Romani, affronta il tema dei doveri dei cittadini verso lo Stato, e dice che i cittadini devono portare rispetto alle autorità dello Stato, perché è Dio stesso a volere che le comunità, i popoli, siano retti da delle autorità, da delle guide. Esorta ad osservare le leggi, evidentemente quelle giuste, quelle che non siano in contrasto con la legge di Dio, perché le leggi mirano ad assicurare l’ordine e il bene comune; esorta, ed anzi comanda, di pagare i tributi e le tasse, in spirito di restituzione per i molti servizi e benefici che il cittadino dallo Stato riceve (cfr Rm 13,1-7). C’è dunque un dovere di restituzione nei confronti di ‘Cesare’.

Un dovere di restituzione ancora più grande l’uomo lo ha nei confronti di Dio. Da Dio, infatti, l’uomo riceve tutto, e a Dio, dunque, deve restituire tutto. Deve restituirlo con l’apporto del proprio impegno e del proprio contributo. E’ indicativa la parabola dei talenti, che ci dice non essere sufficiente restituire a Dio cinque talenti se se ne sono ricevuti cinque, ma essere necessario restituirne dieci, e restituirne quattro, nel caso se ne fosse ricevuti due. L’uomo è in debito, deve sentirsi in debito; debito di riconoscenza verso ‘Cesare’, lo Stato, e in particolare verso Dio.

Che cosa può voler dire ‘restituire a Dio’ quello che è di Dio? Di Dio, ad esempio, è la nostra persona, di Dio è la nostra umanità. Che bello poter restituire a Dio, il giorno dell’incontro con lui alla fine della vita, un’umanità ben costruita, un’umanità matura, maturata attraverso le prove della vita vissute alla sua luce; arata da un continuo sforzo di purificazione e di lotta al vizio, alla superbia, all’egoismo; abbellita e ornata di ogni virtù: bontà, carità, umiltà, castità, dono di sé!

Di Dio è il tempo. Il tempo non è nostro, non ce lo diamo noi, ci è dato da Dio. Dev’essere restituito a lui ricco di opere buone, ricco di impegno, e non perso e sciupato, vissuto stancamente e pigramente.

Di Dio sono tutti i tesori spirituali che possediamo: la sua parola, l’Eucaristia, la Confessione, l’appartenenza alla Chiesa, la ricchezza di una plurisecolare tradizione fatta di dottrina, di esempi di santità, a cui possiamo attingere. Questi tesori vanno restituiti a Dio con tutta la forza di santificazione e di frutti buoni che essi hanno l’energia e la capacità di produrre.

Il restituire a Do i doni che da lui riceviamo non solo è dovere di riconoscenza nei suoi confronti, ma è insieme crescita e arricchimento nostro. Restituendo cresciamo; restituendo ci arricchiamo, restituendo diventiamo migliori. Per cui quel “Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”, alla fine si rivela sommamente utile a noi.

don Giovanni Unterberger

 

 

 

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