30a domenica del Tempo Ordinario (forma ordinaria)

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(Ger 31,7-9;  Ebr 5,1-6;  Mc 10,46-52)

Duomo di Belluno, sabato 27 ottobre 2018

“Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Chissà che tuffo al cuore, che sobbalzo dentro, dovette provare il cieco di Gerico al sentirsi dire quelle parole! Un sobbalzo che lo fece balzare anche fisicamente; il Vangelo dice che, ”gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. Tutti gli dicevano di tacere, di smettere di gridare, perché gridava a più non posso: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”, e disturbava chi voleva ascoltare il Signore. Ma il cieco non voleva lasciarsi sfuggire quell’occasione, quell’opportunità; aveva saputo che era arrivato a Gerico Gesù di Nazareth, e non poteva allora non chiedergli di essere guarito; chissà quando, e se, Gesù a Gerico sarebbe tornato una seconda volta… “Coraggio! Alzati, ti chiama!”, gli dissero, e il cieco si sentì chiamato.

Sentirsi chiamare da una voce amica fa bene, conforta il cuore. E’ segno che qualcuno ci pensa, ci ama, ci desidera. Sentirsi desiderati da Gesù…; ecco, il sentirsi desiderati da Gesù non è una fantasia, non è pia illusione, il frutto strano di una mente che si contorce e che cerca, chissà come e chissà dove, un motivo di conforto. No, Gesù realmente ci desidera, uno ad uno! Che cosa possiamo pensare abbia spinto il Figlio di Dio a lasciare il cielo e a venire tra noi, se non il desiderio di noi? Possiamo immaginare un motivo diverso? Di certo no. Anche perché egli sapeva in antecedenza come gli sarebbero andate le cose sulla terra, e venne ugualmente. Quale forte desiderio di noi fu il suo!

Come egli faccia a desiderarci ci resta mistero; non siamo infatti un partner particolarmente attraente. Abbiamo offeso il Signore, l’abbiamo trascurato, siamo andati per le nostre strade, ed egli ancora ci desidera, ci cerca, ci chiama e ci vuole. Il pubblicano Matteo si sentì voluto; il capo dei pubblicani Zaccheo si sentì chiamato; Maria, la sorella di Lazzaro, era in casa in pianto per il fratello morto, e le dissero: “Il Maestro è qui e ti chiama” (Gv 11,28). Così è anche per noi: Il Maestro è qui e ci chiama.

E ci dice: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Il cieco rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”, e noi cosa risponderemo alla domanda di Gesù? Che cosa vogliamo che egli faccia per noi? Ciascuno ha in cuore qualche grazia da domandare, qualche preghiera da rivolgergli: preghiera che può riguardare la salute, il lavoro, una situazione di rapporti difficili e faticosi; può riguardare un particolare problema di un congiunto, o di amici.  Presentiamo tutto ciò al Signore con fiducia, con la fede del cieco di Gerico.

E aggiungiamo anche qualche grazia tra quelle che papa Clemente XI, papa dal 1700 al 1721, chiedeva in una sua bella preghiera: “Credo, Signore, ma che io creda più fermamente; spero, ma che io speri con più sicurezza; amo, ma che io ami con maggior ardore. Guidami con la tua sapienza, reggimi con la tua santità, consolami con la tua clemenza, proteggimi con la tua potenza. Che io pianga le colpe passate, che rifiuti le future tentazioni, che corregga le mie cattive inclinazioni, che coltivi le virtù necessarie. Che io vigili assiduamente nel domare la natura, nel corrispondere alla grazia, nell’osservare la legge, nel camminare verso la salvezza. Che io impari da te quanto è fragile ciò che è terreno, quanto è grande ciò che è divino, quanto è breve ciò che è temporaneo, quanto è duraturo ciò che è eterno. Dammi di prepararmi alla morte, di non sottovalutare il giudizio, di sfuggire all’inferno, di ottenere il paradiso”.

“Che cosa vuoi che io faccia per te?”, ci dice Gesù; e noi allora chiediamo, chiediamo; ne abbiamo bisogno.

don Giovanni Unterberger

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