26a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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(1 Tess 1,2-10;   Mt 13,31-35)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 18 novembre 2018

Quando l’apostolo Paolo scrisse la prima delle sue due lettere ai cristiani di Tessalonica, città della Macedonia, di cui nell’epistola abbia sentito l’incipit, si era nell’anno 51 d.C. Erano trascorsi solo vent’anni dalla morte e risurrezione di Gesù, e a Tessalonica era sorta una fiorente comunità cristiana. L’ambiente in cui essa viveva era fortemente pagano; a Tessalonica l’idolatria imperava: vi si adorava il dio Cabiro, divinità locale; vi si adoravano gli dèi dell’Olimpo, importati dalla Grecia; gli dèi Attis e Cibele, importati dall’Asia; gli dèi Serapide, Iside e Osiride, importati dall’Egitto; a cui si aggiungeva il culto dell’imperatore, importato da Roma.

In mezzo a questo pantheon pagano la comunità cristiana di Tessalonica aderiva a Cristo, viveva di Cristo, seguiva Cristo. E lo seguiva in modo così forte e in misura così alta, da meritare l’apprezzamento e la lode dell’apostolo Paolo, che scrisse loro: “Rendo grazie a Dio per tutti voi, per l’operosità della vostra fede, per la sollecitudine della vostra carità e per la fermezza della vostra speranza”. Quella comunità era un piccolo granello di senape in un vasto campo, un pugno di lievito dentro una grande quantità di pasta. Piccola cosa, ma forte della potenza di Dio. Paolo ne è entusiasta, e con gioia dice: “Tutti parlano di voi, Tessalonicesi; l’intera Macedonie e  l’intera Grecia vi guardano e vi ammirano, vi prendono a modello; la vostra fede è diventata ‘missionaria’; per mezzo vostro la Parola del Signore risuona dappertutto e si diffonde. Siete meravigliosi!”

Sempre, e anche oggi, la Chiesa è impegnata nell’opera di evangelizzazione, compito affidatole dal Signore Gesù prima di salire al cielo: “Andate in tutto il mondo, e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mt 28,19-20). L’8 dicembre 1975 papa Paolo VI emanò un’importante Esortazione apostolica, la ‘Evangelii nuntiandi’, sul tema della evangelizzazione. Prima di passare a presentare alcuni mezzi e alcune vie di evangelizzazione, il pontefice fa un’affermazione importante; dice: “Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa, col far risuonare all’interno di sé la Parola di Dio e la chiamata alla santità”. E aggiunge: “Per la Chiesa evangelizzare è rendere nuova dal di dentro l’umanità, ma non potrà esserci nuova umanità, se prima non ci saranno uomini nuovi, della novità della vita secondo il Vangelo”.

Il papa richiama alla responsabilità di una vita ‘cristiana’. Solo cristiani ‘veri’ potranno essere credibili e divenire ‘missionari’. “Con la loro fede in valori che sono al di là dei valori correnti -egli scrive- ; con la speranza in qualche cosa che non si vede e che non si oserebbe immaginare; con una carità vera e sincera i cristiani, senza parole, fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere, domande irresistibili: perché sono così? perché vivono in tal modo? che cosa o chi li ispira?”. Ed è la testimonianza che vince. E il papa conclude: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni”.

I cristiani di Tessalonica non erano partiti in missione, non si erano lanciati sulle strade del mondo ad evangelizzare; evangelizzavano con la loro vita vissuta nella loro città, nelle loro case, nei loro comuni rapporti con le persone.

Come si può fare a vincere le tenebre? Non combattendo le tenebre, ma accendendo una luce. Il cristiano, ogni cristiano, può essere luce; Gesù lo ha detto: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 514). Accendiamo tutti una luce, ciascuno la propria, alimentandola continuamente alla luce di Cristo, “sole che sorge” (Lc 1,78), e il mondo sarà più chiaro, più giusto, più buono, più salvo.

 don Giovanni Unterberger

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