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(Gr 33,14-16; 1Ts 3,12 – 4,2; Lc 21, 25-28. 34-36)
Duomo di Belluno, 2 dicembre 2018
Il brano di Vangelo che ci è stato ora proclamato parla della fine del mondo; ne parla con il tipico linguaggio apocalittico che ricorre ad immagini cosmiche e catastrofiche, che non vanno prese alla lettera: non era intenzione di Dio svelarci come avverrà la fine del mondo, così come non era intenzione di Dio svelarci come fu l’origine del mondo. Anche il racconto dei primi capitoli della Genesi è scritto in un linguaggio particolare, immaginifico e simbolico, pur per dire delle grandi verità.
Possiamo a questo punto, però, porci una domanda: come mai questo Vangelo all’inizio dell’Avvento? perché la Chiesa ha fatto questa scelta? Questo Vangelo parla della fine della storia, e della venuta, a conclusione della storia, del Signore Gesù. Anche l’Avvento annuncia la fine di una storia, della storia dell’Antico Testamento; la fine del tempo che l’umanità visse prima della venuta di Cristo tra gli uomini, e annuncia il suo arrivo. Secondo un’antica tradizione popolare gli anni dalla creazione del mondo alla nascita di Gesù sarebbero stati circa quattromila, e in base ad essa il tempo d’Avvento, che richiama simbolicamente quel periodo, è stato fissato in quattro settimane, con quattro domeniche.
Centro e cuore del brano evangelico che abbiamo sentito sono le parole: “Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. E’ un grido di speranza. Della parola ‘Risollevatevi’ il testo greco, alla lettera, dice: ‘Riprendete fiato’. Dell’esortazione ‘Alzate il capo’ il testo greco, alla lettera, dice: ‘Alzate il capo, su, bene, e tenetelo alto’; c’è un liberatore che sta per venire, c’è una liberazione che sta per esservi donata.
Quale annuncio e quale promessa più grande e più desiderabile potrebbe essere fatta all’uomo; all’uomo che, in fondo, anche se si autoproclama ‘libero’ e, barando con se stesso, vuole convincersi di essere del tutto ‘libero’, è, di fatto, un misero prigioniero? Prigioniero di chi? prigioniero di che cosa? Prigioniero di se stesso; dei propri istinti, delle proprie passioni (superbia, avarizia, lussuria, ira…), prigioniero dei propri pregiudizi, delle proprie preoccupazioni, delle proprie paure, dei propri limiti, rifiutati e non accettati.
L’uomo non è molto libero da catene; è invece tanto schiavo… Non ha forse bisogno di essere liberato? non ha forse bisogno che venga un liberatore a liberarlo? “La vostra liberazione è vicina”, ha detto il Vangelo; perciò ‘riprendete fiato’, o uomini; ‘alzate il capo, su, bene, e tenetelo alto’; potete avere speranza, potete sperare! Non siete condannati alle catene!
Qual è allora il sentimento, il moto del cuore, da coltivare all’inizio dell’Avvento, e da tenere desto, anzi da intensificare sempre di più, lungo tutto l’Avvento? E’ il desiderio. Desiderare il Signore, desiderare che egli venga; desiderare che egli prenda in mano la nostra persona, la nostra vita, tutto di noi, perché non c’è liberatore più forte e più capace di lui; egli è Dio e non semplice uomo! Il desiderio non agisce su Dio, perché egli è già determinato a venire a noi, agisce sul nostro cuore, aprendolo, allargandolo, creando spazi nuovi e pronti ad accogliere il Signore, il Salvatore, la liberazione.
Sarà nostra cura e nostro impegno, allora, in questo tempo che ci sta davanti, monitorare i nostri desideri; guardarli, analizzarli. Desideriamo ancora troppo le cose umane? Desideriamo ciò che, in fondo, vale poco? o desideriamo più di tutto e al di sopra di tutto il Signore? Vieni, Signore Gesù; vieni a liberarci!
don Giovanni Unterberger