4^ domenica di Quaresima (forma ordinaria)

Rembrandt – Ritorno del figliol prodigo – 1661-1669

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(Gios 5,9a.10.12;   2Cor 5,17-21;   Lc 15,1-3.11-32)

Duomo di Belluno, 30 marzo 2019

Che dire? L’uomo può fare felice Dio? Da un lato viene da dire di no, perché Dio è pienamente felice in se stesso; non possiamo pensare che a Dio manchi qualcosa, qualcosa per cui egli non sarebbe perfettamente felice. E, d’altra parte, ci sta davanti la parabola che abbiamo appena ascoltato, la parabola di quel padre che fu reso felice dal figlio tornato.

Sappiamo che Gesù, con quell’immagine, parlava di Dio e di noi; per cui è un mistero (mistero che a noi resta mistero) come possa accadere che Dio, infinitamente e pienamente felice in se stesso, possa venir reso felice dall’uomo, e addirittura dall’uomo peccatore. Eppure non può essere che così, pena che la parabola non sia vera.

Sono frequenti i casi nella Sacra Scrittura in cui vengono accostati aspetti e dati che sembrano tra loro opposti e inconciliabili, e che la nostra ragione non riesce a mettere insieme; come, ad esempio, là dove si dice che Dio già vuole darci i suoi doni (cfr Is 65,24, e tuttavia ci comanda di chiederglieli, per averli (cfr Gc 1,5-8); oppure là dove si esalta fortemente la libertà dell’uomo (cfr Sir 15.14-17) e poi si dice che è Dio a suscitare in noi la volontà, il volere (cfr Fil 2,13). Ciò non ci sorprende, perché la rivelazione di Dio è oltre la ragione umana, e la ragione dell’uomo non riesce a comprendere compiutamente i misteri di Dio.

La parabola ci dice che Dio è oltremodo felice quando un peccatore si converte, quando un suo figlio, prodigo, che si era allontanato, ritorna e si getta tra le sue braccia. Anzi, il Vangelo ci dice che fu il padre ad abbracciare il figlio: “gli corse incontro e gli si gettò al collo”, coprendolo di baci. Il testo greco dice esattamente: ‘lo coprì di baci’, e non solo ‘lo baciò’. Era davvero felice quel padre! Non guardò se il figlio era lacero, sporco, maleodorante… lo abbracciò e lo coprì di baci. Lo rivestì di vesti belle e preziose, e fece uccidere ‘il vitello grasso’: il testo greco dice ‘il vitello nutrito col grano’, cioè un vitello speciale, pensato e riservato per le grandi occasioni. Era oltremodo felice quel padre! “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”, disse; e fece festa.

Possiamo pensare che Gesù abbia voluto, in questa parabola, sottolineare molto e far risaltare grandemente la gioia del padre del figliol prodigo nel riavere il figlio a casa, per dare coraggio al peccatore a tornare a Dio. Già in antico, nel libro del profeta Geremia, Dio aveva detto: “Torna, Israele ribelle, non ti mostrerò la faccia sdegnata, perché io sono pietoso. Non conserverò l’ira per sempre” (Ger 3.12). E il profeta Isaia aveva esortato: “L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona” (Is 55,7).

Non c’è motivo più bello e più incoraggiante per tornare a Dio che sapere che lui non è arrabbiato col peccatore; che lui, Dio, è felice di avere il peccatore di nuovo con sé; addirittura che l’uomo peccatore può dare gioia a Dio; una gioia che Dio stesso, pur essendo Dio, non può darsi, ma che possiamo dargli solo noi, peccatori. E allora diciamo anche noi: “Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato”; troveremo braccia aperte, cuore caldo, casa in festa, pace e gioia. C’è un Sacramento che Gesù ci ha lasciato: la Confessione.

don Giovanni Unterberger

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