Giovedì Santo

Tintoretto – Lavanda dei piedi – 1548-1549

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(Es 12,1-8. 11-14;   1Cor 11, 23-26;   Gv 13, 1-15)

Belluno, 9 aprile 2020

In quell’ultima sera della sua vita, al tramonto, Gesù pronunciò parole impensate su del pane e su del vino. Parlò di un corpo spezzato, di sangue versato; di un uomo consegnato. Cosa fu la vita di Gesù se non un continuo e appassionato consegnarsi? Neppure il suo corpo ha tenuto per sé: “prendete e mangiate”; neppure il suo sangue: “prendete e bevetene tutti”.

Si cinse un asciugamano e si chinò a lavare i piedi agli apostoli, a tutti e dodici i suoi apostoli, compreso Giuda che l’avrebbe di lì a poco tradito. Padre Ermes Ronchi commenta così: “Chi è Dio? Il mio lavapiedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come a Pietro, ci viene da dire: ‘no, un Dio non può fare così! Tu sei matto, Signore!’ E lui: ‘Sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi’. Ha ragione san Paolo nel dire che il Cristianesimo è scandalo e follia (cfr Cor 1,22). Questi sono i giorni della ‘vendetta di Dio’, quando egli ‘si vendica’ delle nostre fughe inginocchiandosi ai nostri piedi; ‘si vendica’ della nostra superficialità entrando nel profondo di ognuno, come pane che è lui.

Adesso capiamo chi è Gesù -continua padre Ronchi- è bacio a chi lo tradisce. Non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso. Gesù non ha fuggito la crisi, l’ha affrontata. Ha preso il tradimento, il fallimento umano e l’incomprensione dei suoi, e invece di giudicare, accusare, rimproverare, invece di rimandarli a casa, al lago, al banco delle imposte, alle barche, perché non hanno capito, non ce la fanno, inventa qualcosa di inedito per educarli ancora, per aiutarli ancora a capire, per farli salire su, verso il suo sogno. Avrebbe potuto abbandonarli e ricominciare altrove. Invece ha rilanciato la posta: ‘Voi mi abbandonate e io mi metto nelle vostre mani. Voi mi consegnate perché mi uccidano e io mi consegno a voi. Quando non ci sarò più potrete ancora mangiare e bere di me’. E’ l’immensa vulnerabilità e grandezza dell’amore di Dio!”

Questo è il Giovedì santo, notte di tenebra e di luce; luce che splende nelle tenebre e le rischiara, senza restare vinta da esse (cfr Gv 1,5). “Nella notte in cui fu tradito -dice la Liturgia- Gesù prese il pane, rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: ‘Questo è il mio corpo’; poi prese il calice del vino e disse: ‘Questo è il mio sangue’” (Preghiera eucaristia II). ‘Nella notte in cui fu tradito…’.  Neppure il tradimento fermò Gesù e paralizzò il suo amore; ma egli si diede proprio nella notte del tradimento per fermare e bloccare ogni nuovo nostro tradimento. Cibandoci di lui Eucaristia, noi veniamo da lui rafforzati e irrobustiti, resi capaci di rimanergli discepoli fedeli anche nel momento della prova, della tentazione, della testimonianza e del dolore.

E non dimentichiamo: mai dal Signore saremo rifiutati e cacciati; sempre e di nuovo egli ci laverà i piedi col suo amore che perdona.

don Giovanni Unterberger

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