La fragilità: nemica o amica?

Per lungo tempo non mi fu facile sentirmi riconciliato con la mia fragilità. Negli anni di Seminario, in particolare in quelli immediatamente precedenti l’Ordinazione sacerdotale, sentivo in modo forte la mia inadeguatezza al compito che stavo per assumermi; mi faceva problema il mio temperamento focoso, facilmente irritabile, talvolta poco costante; mi dava da pensare la mia fede non ancora profonda e del tutto matura; ero preoccupato di come sarei riuscito ad esercitare il Ministero e se sarei stato all’altezza delle aspettative che, giustamente, la gente pone nel sacerdote. Mi sentivo fragile, e tale fragilità mi faceva male, la sentivo ‘nemica’, contro di me. Anche in seguito, nel corso della vita, la fragilità mi si fece sentire in varie occasioni e in molti modi, generando in me sofferenza, dolore e rifiuto.

Ma ora, nella maturità, mi sento con essa profondamente riconciliato; la sento ‘amica’. La fragilità mi ha permesso di conoscermi per quello che veramente sono: una creatura. C’è
stato un periodo della mia vita in cui ho fatto tante cose, mi sono impegnato e speso nel servizio in modo eccessivo, fino ad ammalarmi; capii che ero ‘creatura’; la fragilità curò il mio delirio di onnipotenza, la mia superbia, camuffata di dono di me.

Se mi fossi sentito del tutto forte e pienamente sicuro di me stesso, non avrei avvertito il bisogno di nessuno, la necessità di aprirmi a nessuno, di chiedere aiuto a nessuno. La fragilità mi ha strappato dal pericolo di chiudermi in ‘uno splendido isolamento’, che mi avrebbe relegato nel mio limite e nella mia personale povertà. Il sentirmi fragile e limitato, invece, mi spinse a chiedere, a domandare, a farmi consigliare, ad approfondire, a conoscere altre esperienze, a confrontarmi con altre persone, per capire, per capire di più, per diventare ‘scolaro’, e così imparai, conobbi, ed ora mi trovo più ricco; arricchito della grande ricchezza di molti!

E a livello morale? Quanta fragilità a livello morale! Quanti errori, sbagli, incoerenze, difetti che non sono ancora riuscito a debellare, quanti peccati ogni giorno! Brutta, questa fragilità! Bruciante e umiliante, questa fragilità! Eppure quanto benefica! Essa mi ha costretto, e ancor oggi, di continuo, mi costringe a tornare dal Signore, a dirgli col lebbroso del Vangelo: “Signore, se tu vuoi, puoi guarirmi” (Mc 2,40), e col pubblicano in fondo al tempio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!” (Lc 18.13), e mi tiene legato a Dio. Senza questa fragilità me ne starei superbamente per conto mio, senza Dio (senza Dio!), e invece proprio perché sono fragile e peccatore, torno continuamente da lui, medico e Salvatore. Beata fragilità, custode del rapporto…!

E, ultima cosa, ma tanto bella e importante: la mia fragilità, riconosciuta e umilmente accettata, mi ha educato alla misericordia. Alla misericordia verso di me, ogni volta che sbaglio e cado; per cui non mi arrabbio con me stesso, non mi butto giù e non mi disprezzo, ma con pazienza, soavità e dolcezza mi rialzo e cerco di riprendere la strada. E misericordia verso i miei fratelli, che al pari di me sono fragili e deboli, e fanno dolorosamente esperienza del loro limite e della loro povertà. Una volta caduti, non hanno bisogno di giudizio e di condanna, ma solo di comprensione, di affetto, di incoraggiamento e di aiuto.

O beata fragilità, non sei un’amica facile, ma sei un’amica vera!

don Giovanni Unterberger

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