Amare con l’amore di Cristo

Leonardo da Vinci – Salvator Mundi – 1500 circa

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dalla conferenza di don Giovanni di marzo 2012

L’orazione di Colletta della Messa della quarta settimana del Tempo ordinario è un’orazione molto bella, che a me piace tanto, e che mi sono imparato a memoria. Nella sua brevità, essa ci fa domandare al Signore due cose importanti, una delle quali riguarda direttamente questa nostra meditazione; dice: “Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo”. Amare i nostri fratelli nella carità di Cristo, ecco ciò che vorremmo fare, ciò a cui vorremmo arrivare: amare i fratelli come Gesù amava, avere in noi, nel nostro cuore, l’amore di Gesù, avere in noi l’amore del suo Cuore. Santa Caterina da Siena, in una estasi mistica, ebbe la sensazione che Gesù le desse il suo cuore, che Gesù le togliesse il cuore e le desse il proprio.

Cercheremo in questa meditazione di fissare lo sguardo su Gesù, sul suo amore, su come Gesù amava, sulla qualità del suo amore, per imparare da lui; “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29); per imparare ad amare come lui amava.

1. Una prima caratteristica dell’amore di Gesù è la solidarietà; l’amore di Gesù fu un amore solidale. Sono tre i gradi della solidarietà; il primo dice: “io ti aiuto, ti sono vicino nella tua situazione, restando però io nella mia”; il secondo grado dice; “io condivido con te, entro a far parte della tua situazione, vi partecipo, ma senza lasciarmi investire e coinvolgere appieno”; e il terzo grado dice: “io assumo su di me in pieno e del tutto la tua situazione, la faccio mia; è come se la vivessi io al posto tuo e in te”.

Gesù fu solidale con l’uomo in questo grado, il grado più alto. Egli non solo disse dal cielo: “ti salvo”, restando lui in cielo, ma scese dal cielo e si fece uomo, si fece uno di noi, si fece come noi; prese su di sé il nostro male per liberarci dal male, accettò di essere fatto lui “peccato”, come dice san Paolo, perché noi fossimo liberati dai nostri peccati (2 Cor 5,21). Solidarietà piena. Nessuna distanza, solidarietà nel nostro limite, nei nostri difetti, nei nostri sbagli.

A noi capita di sentire di tanto in tanto di una persona che ha fatto del male, di sentire per televisione di un marito che ha ucciso la moglie, di un tale che ha truffato in maniera gravissima altre persone, e il primo movimento che proviamo è quello di prendere le distanze da quella persona, di giudicarla, di condannarla, di rifiutarla; tutto il contrario della solidarietà! Non ci viene in mente di pregare per quella persona, di considerarla comunque nostro fratello, nostra sorella, pur riconoscendo cattivo il suo comportamento. Via da noi, anziché ancora con noi.

E tantomeno noi al suo posto! Padre Massimiliano Kolbe visse la solidarietà perfetta di Gesù; entrò lui nel bunker della fame al posto di quell’uomo, padre di cinque figli, condannato a morire di fame dalle S.S. nel campo di sterminio di Auschwitz. San Domenico Savio accettò lui di essere incolpato dal maestro di scuola d’aver messo neve invece che legna nella stufa, mentre a farlo era stato un altro, e sopportò di essere messo in ginocchio davanti a tutti i suoi compagni, “perché – disse – anche Gesù si è messo al posto nostro”.

Noi forse siamo molto distanti da questo tipo di solidarietà, da un amore solidale così. Forse facciamo fatica e non riusciamo sempre neanche ad essere solidali nel senso di aiutare chi ha bisogno, se la cosa ci scomoda troppo. “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto”, esorta San Paolo (Rm 12,15); “portate i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2). L’apostolo ci invita alla solidarietà; alla solidarietà ci invita Gesù. La condivisione con il fratello, con la sorella, nelle sue pene, nelle sue preoccupazioni, nelle sue paure, nei suoi dubbi, e anche nelle sue gioie e nei suoi successi è segno d’amore, è imitazione dell’amore solidale di Cristo.

2. L’amore di Gesù fu un amore preveniente. Lo fu fin nella sua radice. Gesù lasciò il cielo di sua iniziativa, senza che l’uomo glielo chiedesse. Avrebbe mai potuto l’uomo chiedergli una cosa simile? Non l’avrebbe neanche potuta immaginare! E poi, l’uomo era peccatore; come avrebbe potuto avanzare una richiesta del genere? “Dio è amore e ci ha amati per primo”, dice l’apostolo Giovanni (1Gv 4,8.19). È Dio che ha fatto il primo passo verso di noi, che si è mosso verso l’uomo. Gesù ci ha amati per primo. “Mentre noi eravamo ancora peccatori – osserva san Paolo – Cristo morì per gli empi. A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,6-8).

Durante la sua vita Gesù più volte amò di amore preveniente. Presso la piscina di Betesda, a Gerusalemme, c’era un malato infermo da trentotto anni, e Gesù gli disse: “Vuoi guarire?” (Gv 5,6). Quel malato non conosceva Gesù, lo vedeva in quel momento per la prima volta, e non sapeva che Gesù avrebbe potuto guarirlo; per cui non gli chiese nulla. Gesù gli sarebbe passato accanto e per quel malato sarebbe stato come se Gesù non gli fosse passato accanto! Mentre gli passava accanto il Figlio di Dio, il taumaturgo per eccellenza. Fu Gesù a prendere l’iniziativa e a dirgli: “Vuoi guarire?”, e a guarirlo.

Una folla seguiva Gesù giù da un bel po’ di tempo, ed aveva esaurito le provviste di cibo che aveva portato con sé. Doveva tornare alle proprie case ed era già sera; alcuni abitavano anche lontano. Gesù, guardando quella gente si commosse, e senza che nessuno gli chiedesse nulla, la sfamò, moltiplicò per essa pane e pesci (Mc 6,35-44).

A Gerusalemme c’era un cieco seduto lungo la strada, cieco dalla nascita. Gesù gli si avvicinò e gli ridiede la vista, di sua iniziativa (Gv 9,1-7).

Gesù è così, il suo amore è così. Tante volte Gesù attese la richiesta del malato, perché voleva che nel malato si attivasse la fede, ma il suo amore era un amore preveniente.

Chissà in quante occasioni e in quanti modi l’amore di Gesù è stato ed è, anche con noi, un amore preveniente! Forse che noi abbiamo chiesto stamattina che il sole si alzasse all’orizzonte? Forse che noi avevamo chiesto che ad incontrarci fosse quella persona che ci ha tanto aiutato nella vita? e l’abbiamo incontrata. Forse che noi abbiamo chiesto di consacrarci al Signore? è lui che ci ha ispirato questo desiderio: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, dice Gesù (Gv 15,16). Gesù ci ha prevenuti. Ci ha perdonato i peccati duemila anni fa, prima ancora che li commettessimo! Si può pensare un amore più preveniente di così?

Sull’esempio suo deve essere preveniente anche il nostro amore, deve diventare della stessa qualità del suo. Dobbiamo diventare attenti, sensibili, capaci di ascolto profondo delle situazioni, delle necessità, degli stati d’animo del nostro prossimo. E andare loro incontro prima che ce lo chiedano, e anche senza che ce lo chiedano. Le persone alle volte non sanno chiedere, si vergognano di chiedere, non si ritengono degne di chiedere, e non chiedono. Ma là dove noi vediamo un bisogno il nostro amore deve muoversi, e, con intelligenza e delicatezza, in un certo senso domandando permesso e con tanto affetto, fare ciò che ci è possibile. Non deve essere duro e cieco il nostro cuore.

3. L’amore di Gesù fu un amore capace di fiducia nell’uomo. Qualità straordinaria dell’amore di Gesù anche questa! Pensate: non c’era uomo come lui, non c’era uomo buono, sapiente, capace come lui, eppure egli ebbe fiducia nell’uomo. Chiamò a sé alcuni pescatori, chiamò Bartolomeo che doveva essere un contadino, chiamò Simone lo zelota che aveva idee politiche violente; chiamò uomini fragili e difettosi, ambiziosi e superbi (Giacomo e Giovanni gli chiesero i primi posti nel regno: Mc 10, 35-37); uomini entusiasti ma senza tenuta (Pietro gli protestò la sua fedeltà anche a costo della vita: Lc 22,33, e poche ore dopo lo rinnegò: 22,54-60). Gesù non rifiutò la debolezza e la fragilità; non cercò l’uomo perfetto per concedere fiducia; non ritirò a Pietro la promessa del primato dopo che Pietro lo ebbe rinnegato, ma glielo conferì con generosità, come se nulla fosse accaduto, accordandogli ancora fiducia.

Anche a noi Gesù dà sempre di nuovo fiducia. Non si arrende in questo, nonostante le nostre innumerevoli cadute e defezioni. Continua a credere in noi.

Il nostro amore è così? è come il suo? Cerca sempre e per tutto la perfezione negli altri per dare stima, considerazione e affidabilità, o sa rischiare, credere che il fratello, la sorella, ha delle buone qualità e delle risorse che possono renderlo capace di bene, anche se per il passato avesse sbagliato e fosse venuto meno ai suoi impegni? San Paolo, parlando dell’amore nella prima lettera ai Corinzi, dice che l’amore “tutto crede, tutto spera” (1Cor 13,7), cioè ha fiducia che l’uomo possa convertirsi, possa crescere e migliorare, essere diverso da quello che è stato fino ad ora. Diamoci fiducia gli uni gli altri! Un po’ di più di quella che spontaneamente ci verrebbe da darci! È gesto d’amore, che fa tanto bene.

4. L’amore di Gesù fu un amore che lo spinse ad annunciare al mondo una bella cosa, la più bella che potesse essere annunciata, quella di cui il mondo aveva più bisogno: che Dio è padre, che Dio è buono, che Dio non ha nulla contro l’uomo, neanche contro il peccatore, ma che è solo amore e volontà di salvezza; che Dio ha cura dell’uomo. Dovremmo scorrere tutto i Vangelo per mostrare questa coloritura dell’amore di Gesù, un amore che illumina, che rassicura, che porta pace al cuore. Ci basti ricordare il suo discorso sulla Provvidenza: “Non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete. Guardate gli uccelli del cielo, guardate i gigli del campo; il Padre provvede a loro, e il Padre provvederà ancora di più a voi”. (Mt 6,25-34). “Voi valete molto più di molti passeri” (Mt 10,30).

Annunciare questo amore di Dio, parlare della Provvidenza, sostenere la fede che siamo nelle mani di un Padre buono è un servizio d’amore grandissimo. La gente è spesso in difficoltà, è sottoposta alle volte a prove dolorosissime, fa fatica nella vita e si impaurisce. Parlarle di un Dio che è Provvidenza può aiutarla, e soprattutto può aiutarla il fare esperienza attraverso di noi, attraverso il nostro amore, il nostro interessamento, la nostra partecipazione e la nostra presenza che c’è una Provvidenza, che c’è un Dio che si interessa all’uomo. Anche l’evangelizzazione, accompagnata dalla testimonianza della carità, è una forma di amore che assimila il nostro amore a quello di Gesù.

5. L’amore di Gesù, poi, fu un amore capace di umiliarsi davanti agli uomini.

Emblematico è il gesto di Gesù che si inginocchiò e si piegò fino a terra a lavare i piedi ai suoi apostoli durante l’ultima cena (Gv 13,1-15). Gesto che capovolge ogni schema e ogni logica umana: il creatore ai piedi della creatura, Dio ai piedi dell’uomo, il Santo ai piedi del peccatore.

Pietro avvertì la singolarità di quel gesto, che andava fuori ogni regola e ogni convenzione, tanto che disse: “Tu, Signore, non mi laverai mai i piedi!”. Quello era il gesto dello schiavo nei confronti del proprio padrone, del discepolo nei confronti del proprio rabbì quando questi tornava con i piedi impolverati dalla predicazione. E Gesù confermò come giusto il sentire di Pietro, tanto che aggiunse: “Voi mi chiamate maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Tuttavia, nonostante che io sia il vostro maestro e il vostro Signore, io vi lavo i piedi.”

Gesù non ha una dignità da difendere secondo i parametri umani. I parametri umani dicono che chi è più importante deve farsi servire dal meno importante, e non viceversa. Non deve succedere viceversa. Ma l’amore è capace di fare viceversa. Gesù fece viceversa. Sempre durante l’ultima cena Gesù disse: “Chi è più grande? Chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Ma io sto in mezzo a vi come colui che serve” (Lc 22,27). Gesù, il più grande, si umiliò, per amore, rivelandoci che la vera grandezza sta nell’amare, sta nel servire per amore.

Grande è colui che ama; più grande è colui che di più ama. Non è una umiliazione mettersi un gradino sotto gli altri per amore, quando l’amore lo chiede e lo esige; è, al contrario, gesto di gloria e di onore. Non si è mai tanto gloriosi e “onorevoli” come quando si serve, come quando si innalza il prossimo magnificandone le virtù e le doti, le qualità e i successi; come quando si lavora perché gli altri riescano e siano contenti; perché gli altri si affermino e siano migliori e più stimati di noi; grande antidoto, questo, all’invidia! Grande conquista d’amore!

6. L’amore di Gesù fu vissuto, ancora, in altre dimensioni. Gesù ebbe un amore capace di sopportare il limite e la povertà spirituale degli uomini. Questo aspetto dell’amore di Gesù, non sempre rilevato e riconosciuto, a me fa grande impressione. Penso alla conoscenza che Gesù aveva del mistero di Dio, istruito com’era continuamente dallo Spirito Santo a cui egli era totalmente aperto, e penso, di converso, all’ottusità, alla rozzezza spirituale della gente con cui veniva in contatto. Penso a lui che era la Verità, che veniva in contatto con l’errore, con concezioni imperfette, chiuse e sbagliate su Dio, sulla legge di Mosè, sul bene da compiere; e la gente non capiva, restava perplessa, lo abbandonava, come quando se ne andarono tutti, tranne i dodici apostoli, dopo il discorso sull’Eucaristia nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6,66). Penso alla sensibilità, anche umana, di Gesù, che veniva in contatto con umanità grezze, costruite male, piene di difetti. Anche con gli stessi apostoli quanta fatica e quanta sopportazione! Lui, mite, dovette frenare Giacomo e Giovanni che si erano arrabbiati contro i samaritani fino a invocare un diluvio di fuoco su di loro (Lc 9,51-55); lui, aperto a tutto il bene, da qualsiasi persona venisse fatto, aveva accanto a sé Giovanni che era disturbato dal fatto che anche altri, oltre Gesù, riuscivano a cacciare i demoni (Mc 9,28-40); lui, aperto e disponibile al disegno del Padre che gli chiedeva di lasciarsi crocifiggere per la salvezza del mondo, dovette sopportare e affrontare Pietro che voleva distoglierlo dal disegno divino (Mc 8,31-33). Un giorno Gesù, dopo aver insegnato che non è quello che entra nell’uomo, il cibo, a contaminare l’uomo, ma è ciò che di cattivo esce dal cuore dell’uomo a contaminarlo, disse agli apostoli che non capivano: “Siete così privi di intelletto? Non capite proprio?” (Mc 7,18); e in un’altra occasione disse loro: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito?” (Mc 8,17-18). Quanta pazienza dovette portare Gesù con gli apostoli! E la portò.

Riguardo alla gente disse un giorno: “O generazione incredula! Fino a quando dovrò stare con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?” (Mc 9,19). Quel giorno Gesù fu preso da sconforto, ma poi si riprese, e continuò a stare con la gente.

Questo amore di sopportazione, ben diverso dall’atteggiamento espresso dal poeta latino Orazio: “odi profanum vulgus et arceo” (ho in uggia la massa del popolo ignorante e me ne sto alla larga), è l’amore di sopportazione di cui abbiamo bisogno anche noi. Siamo tutti pieni di difetti, abbiamo tutti un modo di pensare diverso, una sensibilità diversa, età diverse: occorre che ci accettiamo, che ci sopportiamo, con grande pazienza. “sopportatevi a vicenda”, invita San Paolo (Col 3,13). E il beato Isacco, abate del monastero della Stella in Francia, vissuto nel XII secolo, istruiva così i suoi monaci: “Ciò che nel mio fratello per qualsiasi motivo – o per necessità o per infermità del corpo o per leggerezza di costumi – vedo non potersi correggere, perché non lo sopporto con pazienza? Perché non lo curo amorevolmente, come sta scritto: i loro piccoli saranno portati in braccio ed accarezzati sulle ginocchia? (Is 66,12). Forse perché mi manca quella carità che tutto soffre, che è paziente nel sopportare e benigna nell’amare, secondo la legge di Cristo!” (Beato Isacco della Stella, PL 194, 1292). Ecco dunque, un amore che si fa sopportazione serena, ricordando che anche noi, a nostra volta, veniamo sopportati.

7. Ma l’amore di Gesù non solo ha sopportato il limite delle persone, si è spinto più avanti: ha sopportato l’ostilità, la cattiveria, la menzogna, la persecuzione contro di lui.

Un giorno che Gesù scacciava i demoni, i farisei dissero: “Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni” (Mc 3, 22).

Mi è capitato, molti anni fa, di essere chiamato in una famiglia in cui una figlia stava per diventare testimone di Geova. I genitori, preoccupati, mi chiamarono perché parlassi con la loro figlia e la dissuadessi dall’abbandonare la fede cattolica. Arrivato in casa, vi trovai, assieme alla ragazza, due signore testimoni di Geova. La ragazza, sapendo che sarei arrivato, le aveva fatte venire per sentirsi più sicura. Cominciammo a discutere, e ad un certo punto una di quelle signore mi disse: “Lei, a dire le cose che dice, ha un demonio in corpo, è un indemoniato!” A quelle parole non ci ho più visto, mi sono talmente sentito offeso e arrabbiato, che chiusi la mia Bibbia, la infilai nella borsa, uscii di casa senza neanche salutare, credo; non ricordo. A metà strada sulla via del ritorno, mi venne in mente il passo di Vangelo che ho appena ricordato e mi dissi: anche a Gesù hanno detto che era un indemoniato, ma lui mica si è arrabbiato, non ha fatto come me; ha continuato a parlare con i suoi accusatori.

Gesù sopportò le critiche dei farisei, la guerra fredda che gli mossero cercando di metterlo in difficoltà in mille modi (sul tributo da pagare a Cesare, sulla risurrezione, sul divorzio, sul comandamento più importante della legge…), per poterlo accusare. Sopportò le umiliazioni della passione, le percosse, gli schiaffi, gli sputi, i flagelli, le spine, i chiodi, la condanna a morte imbastita tutta sulla falsità e sulla menzogna. Sopportò tutto senza accusare, senza inveire, senza maledire.

L’amore di Gesù, vissuto da noi, ci porta a sopportare i torti, le offese, le incomprensioni, le malinterpretazioni, le calunnie, tutto ciò che ci colpisse ingiustamente e ci facesse soffrire. La vendetta è sempre dietro l’angolo quando siamo trattati male; una vendetta magari sofisticata e sottile, non proprio aperta ed eclatante, ma vera vendetta. “Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi – esorta san Paolo – ma lasciare fare a Dio. Non rendete a nessuno male per male; non lasciatevi vincere dal male, ma vincete con il bene il male” (Rm 12, 17-21). “La carità tutto sopporta”, dice ancora l’apostolo (1Cor 13,7).

8. L’amore di Gesù arrivò fino alla fine, fino al sacrificio supremo di sé.

Dice San Giovanni: “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1), li amò fino alla croce.

Impressiona il fatto che Gesù non fu messo in croce perché non potè sfuggire a quella sorte. Egli sarebbe potuto fuggire dalla Palestina, avrebbe potuto mettersi in salvo; addirittura, essendo Dio, avrebbe potuto fermare in ogni momento i passi, le mani, le menti dei suoi nemici; ma non lo fece, perché “oblatus est quia ipse voluit” (Is 53,7), fu sacrificato perché egli l’ha voluto.

L’evangelista Giovanni lo dice espressamente, là dove al capitolo dieci del suo Vangelo, riporta le parole di Gesù: “Il Padre mi ama perché io offro la mia vita. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,17-18). Gesù morì in croce di sua volontà. Su un’immaginetta che raffigurava una croce con Gesù crocifisso era riportata questa frase che non mi è più andata via di mente, e che mi è scesa nel cuore: “A tenere Gesù in croce non furono i chiodi, ma il suo amore per te”.

La preghiera eucaristica seconda, al momento della consacrazione del pane e del vino dice: “Egli (Gesù) offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli…”. Offrendosi liberamente alla sua passione. Da questo “liberamente” si comprende tutto l’amore di Gesù, un amore fatto di sacrificio, un amore che affrontò il sacrificio, e lo affrontò fino in fondo, “fino alla fine”.

L’amore vero è capace di sacrificio; l’amore ha il sigillo dell’autenticità quando accetta e resiste di fronte al sacrificio; se fugge il sacrificio non è amore vero, o per lo meno è amore debole, povero, anemico. L’orazione di Colletta della quinta domenica di quaresima dice: “Vieni in nostro aiuto, Signore, perché possiamo sempre vivere e agire in quella carità che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”.

La carità che spinse Gesù a dare la vita per noi è quell’amore che ci rende capaci di perseverare nella nostra vocazione; quell’amore che ci rende capaci di servire i fratelli anteponendo le loro necessità a noi stessi; è l’amore che dice “sì” a Dio in tutto ciò che egli permette e dispone nella nostra vita.

9. Non possiamo non accennare ad un’altra grande qualità dell’amore di Gesù, qualità che ci fa tanto bene al cuore, e di cui i nostri rapporti hanno bisogno, di cui il mondo intero ha bisogno: la misericordia. L’amore di Gesù fu un amore misericordioso.

Potremmo dire che l’amore di Gesù, nella sua vita e nella sua opera, si è manifestato sempre con questa nota, con questa caratteristica. I momenti e gli episodi di misericordia di Gesù sono innumerevoli, sono continui. Ricordiamo l’adultera (Gv 8,1-11), Zaccheo (Lc 19,1-10), Pietro guardato e perdonato dopo il rinnegamento (Lc 22, 61), il buon ladrone (Lc 23,42-43).

Ma ricordiamo la guarigione del lebbroso: “ne ebbe compassione” (Mc 1,40-42); la moltiplicazione del pane per la folla affamata (Mc 6,35-44); la risurrezione del figlio della vedova di Nain: “ne ebbe compassione” (Lc 7,11-17): tutti gesti di misericordia. Ma ricordiamo ancora la vocazione di Matteo, pubblicano e considerato pubblico peccatore, fatto diventare suo apostolo (Mt 9,9); ricordiamo la frequentazione con i pubblicani e i peccatori, a cui Gesù disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: misericordia voglio e non sacrificio: non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,12-13). Gesù dall’alto della croce pregò il Padre per i suoi crocifissori: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34); vertice di misericordia! Fra tutte le parabole che Gesù raccontò, le più belle sono le cosiddette “parabole della misericordia”: la pecorella smarrita, la dramma perduta, il figliol prodigo (Lc 15).

Gesù invitò alla misericordia: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano; prestate senza sperarne nulla. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,27-38).

La misericordia è ingrediente essenziale dell’amore; tutti ne abbiamo bisogno, perchè tutti siamo difettosi e in mille modi manchiamo. Il perdono, gesto supremo di misericordia, è gesto necessario, gesto che solo può tenere unite le persone, le famiglie, le comunità, le classi sociali, i popoli. Senza perdono e senza misericordia è la lotta, la disunione, la dispersione.

Dio ci faccia misericordiosi! Anche perché i misericordiosi otterranno la misericordia di Dio, ha detto Gesù (Mt 5,7).

10. Consideriamo un ultimo aspetto dell’amore di Gesù, aspetto che non è spesso colto e messo in luce, ma che invece è molto dolce e che ci parla della bella umanità che Gesù aveva: Gesù era una persona che si lasciava amare; Gesù si lasciò amare.

Un giorno che si trovava a pranzo, ospite di un fariseo, si lasciò avvicinare da una donna, una prostituta, e lasciò che ella si accovacciasse ai suoi piedi, glieli bagnasse di lacrime, glieli asciugasse con i suoi lunghi capelli, glieli coprisse di baci e li ungesse di profumo (Lc 7,36-50). Il testo dice propriamente “glieli coprì di baci”; usa il verbo “katafilèo” (καταφιλέω), composto e rafforzativo del semplice “filèo” (φιλέω) che vuol dire “baciare”. Quella donna “non finiva più di baciargli” i piedi, da tanto bene che voleva a Gesù, e Gesù lasciò che glieli baciasse finchè ella volle, accettò tutti quei baci senza fermarla, senza frenarla.

Sei giorni prima della sua passione Gesù accettò un’altra unzione, sul capo, da una donna. Una unzione con un olio profumato di grandissimo valore; trecento denari era il suo prezzo, tanto quanto il salario di un anno di lavoro di un bracciante. E quella donna spezzò addirittura il vasetto di alabastro che conteneva il profumo perché uscisse tutto, fino all’ultima goccia, sul capo di Gesù, tanto grande era il suo affetto per lui (Mc 14,1-9); e Gesù non la rimproverò perché aveva fatto uso di un profumo così costoso, accettò l’amore di quella donna che sentiva il bisogno di esprimerglielo fino a quel punto.

Gesù si lasciò amare dai suoi apostoli, accettò la loro stima, la loro dedizione, il loro affetto; in particolare l’affetto di Giovanni, che doveva volergli proprio bene se sentì che poteva posare il capo sul petto di Gesù durante l’ultima cena fino ad avvertire i battiti del suo cuore (Gv 13,23-25).

Quando i soldati sotto la croce si diedero al cinico rito di dividersi le vesti di Gesù, come era usanza fare con le vesti dei condannati a morte, si trovarono a dover decidere cosa fare della sua tunica. Quella tunica, nota l’evangelista Giovanni, era una tunica speciale, signorile, “tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo”; per cui decisero di non lacerarla e di tirare la sorte su di essa per vedere a chi dovesse toccare (Gv 19,23-24).

Quella tunica era un dono particolare fatto da qualcuno a Gesù, e non è detto che fosse stata tessuta e donatagli da sua madre, Maria, ma potrebbe essergli stata donata da Maria Maddalena che tanto voleva bene a Gesù; e Gesù accettò quel dono. Gesù sapeva accettare di farsi amare.

Il permettere alle persone di amarci, di volerci bene, di esprimerci il loro affetto, la loro riconoscenza, la loro stima, il loro cuore, è un voler loro bene, è un modo finissimo di amarli. Spesso siamo rudi e chiusi su questo punto e a questo riguardo, più incentrati su di noi e sulla nostra sensibilità, che sulla sensibilità e sul cuore dell’altra persona. Lasciare che gli altri ci amino è una forma d’amore. L’umanità di una persona è matura e completa quando sa amare e lasciarsi amare.

Abbiamo considerato l’amore di Gesù, le varie modalità, coloriture, sfumature del suo amore, per imparare anche noi ad amare come lui. Titolo di questa nostra riflessione era: “Amare con l’amore di Cristo”. Ma perché noi possiamo amare con l’amore di Cristo, occorre che sia Cristo stesso a darci il suo amore. Noi non abbiamo il suo amore. Noi, tralci, abbiamo bisogno di rimanere innestati in lui, che è la vite, per avere la sua linfa, linfa che è l’amore, come dice Giovanni al capitolo quindici del suo Vangelo (Gv 15, 1-17).

Il Signore ci ha lasciato un Sacramento che è la sorgente di tale amore, l’Eucaristia. L’Eucaristia, la Messa, è il sacrificio di Cristo, è Cristo nel suo vertice e nella sua misura massima dell’amore, nel momento in cui ci ha amati fino all’estremo, “fino alla fine”, sulla croce. Noi, cibandoci dell’Eucaristia, introduciamo in noi quell’amore. Partecipando alla Messa e facendo la Comunione non dovremmo mai dimenticarci di chiedere un aumento di carità, perché la carità è il dono specifico del Sacramento dell’Eucaristia. Rivediamo sempre di continuo la qualità del nostro rapporto con l’Eucaristia.

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