17^ domenica del Tempo ordinario

Duccio di Buoninsegna – L’Apparizione di Cristo durante la cena degli apostoli – 1308-11

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(Gn 18,20-22;  Col 2,2-14;  Lc 11, 1-13)

Sabato 23 luglio 2022, risalente al 27 luglio 2013

La prima lettura e il Vangelo di questa domenica sono una preziosa catechesi sulla preghiera.

Signore, insegnaci a pregare”, dissero gli apostoli a Gesù, un giorno che lo videro pregare. Chissà come avrà pregato Gesù; con quale intensità, con quale profondità, con quale raccoglimento; tutto immerso nel rapporto e nel dialogo amoroso e filiale con Dio.

I Vangeli ci dicono che Gesù si alzava spesso quand’era ancora buio, al mattino, a pregare (Mc 1,35); che passava notti intere a pregare (Lc 6,12); che prendeva spunto da quanto aveva da compiere e da quanto gli capitava di vivere, per pregare. La preghiera era il clima abituale in cui egli viveva e si muoveva, in cui egli agiva e operava.

Quel giorno che gli apostoli lo sorpresero a pregare (probabilmente non visti, e dopo averlo osservato a lungo, perché il Vangelo dice che solo dopo che egli “ebbe finito di pregare” gli posero la domanda: “Signore, insegnaci a pregare”…); quel giorno gli apostoli furono conquistati dalla preghiera di Gesù, ne furono affascinati, colpiti, presi; sentirono anch’essi, forte, il desiderio della preghiera. Vedere qualcuno pregare invita a pregare; vedere una persona in contatto con l’Invisibile, con l’Infinito, col Mistero, risveglia il desiderio dell’Invisibile, dell’Infinito, del Mistero. Pregare aiuta a pregare; pregare contagia.

Agli apostoli quel giorno Gesù insegnò il “Padre nostro”. Luca riporta il “Padre nostro” in una forma più breve, Matteo lo riporta in una forma più lunga e più completa.

Il “Padre nostro  è la preghiera perfetta, il paradigma di ogni altra preghiera; è la preghiera insegnataci da Gesù. Il “Padre nostro” è una preghiera sommamente educativa. Esso inizia con la parola “Padre”, parola che sulle labbra di Gesù doveva suonare “abbà”, “papà”, perché così Gesù chiamava Dio suo padre; lo vediamo ad esempio dalla sua preghiera nell’orto degli ulivi: “Abbà, padre, tutto è possibile a te, allontana da me questo calice” (Mc 14,36).

Invitandoci a chiamare Dio “abbà”, papà, Gesù ci educa a sentirci “figli”. Non siamo estranei a Dio, non siamo sue semplici creature, esseri che egli ha fatto venire al mondo e di cui egli vuole essere solo padrone; no, noi siamo figli, e figli amati, figli di cui egli si prende cura, preziosi, ai suoi occhi. Con la parola “padre”, papà, Gesù ci educa alla figliolanza.

Il “Padre nostro” si compone di due parti; nella prima parte noi chiediamo le cose di Dio: che “sia santificato il suo nome”, cioè che egli venga riconosciuto come Dio, onorato come Dio; e che “venga il suo regno”, cioè che egli possa regnare sulla terra e nel cuore degli uomini. Solo nella seconda parte noi chiediamo le cose nostre: il pane quotidiano, il perdono delle colpe, l’aiuto nella tentazione.

Invitandoci a pregare Dio in questo ordine, Gesù ci educa a cercare prima le cose di Dio; le cose di Dio prima delle cose nostre, fidandoci che cercando le cose di Dio noi avremo dalla sua bontà tutto ciò che ci occorre e ci è necessario per la vita e per l’esistenza quaggiù. Dio non si lascia vincere in generosità. Gesù ha detto: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto ciò di cui avete bisogno vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6,33). E infatti, se verrà il regno di Dio, che è regno di giustizia, di amore e di pace, nulla più ci mancherà, l’umanità godrà pace, tranquillità, benessere.

Anche con la richiesta del “pane quotidiano” Gesù ci educa; ci educa a sentirci poveri, bisognosi, per nulla autosufficienti e autonomi, ma legati a lui e alla sua Provvidenza, in atteggiamento di fiducia, di gratitudine e di riconoscenza.

Con la richiesta del perdono delle colpe (“perdona a noi i nostri peccati”) Gesù ci educa a sentirci peccatori, a riconoscerci bisognosi del suo perdono e della sua misericordia, e quindi anche ad essere pronti e disposti ad accordare perdono e misericordia ai nostri fratelli.

E infine con la richiesta “non abbandonarci alla tentazione” Gesù ci educa ad essere coscienti della nostra debolezza di fronte al male, di fronte al peccato, che ci tenta, ci suggestiona, ci affascina e vorrebbe vincerci.

La preghiera è davvero tanto utile alla nostra vita; anzi, ci è necessaria. Come il respiro è necessario alla vita del corpo, così la preghiera è necessaria alla vita dell’anima. Senza preghiera la vita spirituale muore. I maestri di vita spirituale hanno chiamato la preghiera “il respiro dell’anima”.

La prima lettura, che ci ha parlato di Abramo che intercedette per Sodoma e Gomorra, e la parabola dell’uomo che andò di notte a chiedere pane, e lo chiese con insistenza finchè l’ottenne, ci vogliono rafforzare nel nostro impegno di preghiera. Pregare con insistenza, con perseveranza, e in abbondanza, è ciò che ci chiede il Signore. Egli è ben disposto a darci i suoi doni e a concederci tutte le sue grazie che ci sono necessarie; non a darci tutto ciò che chiediamo, qualora non fosse il nostro vero bene, ma a darci tutto ciò di cui veramente abbiamo bisogno per la vita quaggiù e per la nostra salvezza eterna.

Signore, insegnaci a pregare”, dissero gli apostoli a Gesù. “Signore, insegnaci a pregare, aiutaci a pregare, sostieni la nostra preghiera”, diciamo anche noi a lui.

don Giovanni Unterberger

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