6^ domenica del Tempo Ordinario – forma ordinaria

Hildesheim – Miniatura del Codice Aureo – Guarigione dei dieci lebbrosi – XI sec

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(Lev 13,1-2. 45-46;   1Cor 10,31-11,1;   Mc 1,40-45)

sabato 10 febbraio 2024, risalente al 14 febbraio 2015

A Gesù, quel giorno, le cose non andarono bene; benchè egli avesse fatto del bene. Aveva soccorso e aiutato un emarginato, e venne a trovarsi emarginato lui.

Un lebbroso gli si accostò.  I lebbrosi dovevano stare lontani dal consorzio umano, lontano dai villaggi e dai luoghi abitati. Con tutta probabilità Gesù stava camminando per strada, stava facendo strada con i suoi apostoli, e un lebbroso gli si parò davanti all’improvviso -d’impeto, possiamo immaginare-, senza domandare permesso; Gesù se lo trovò inginocchiato davanti a supplicarlo: “Signore, se tu vuoi, puoi purificarmi, puoi guarirmi!”

Quel lebbroso non avrebbe potuto avvicinarsi a Gesù e al suo gruppo; la legge di Mosè lo proibiva severamente Il lebbroso, per legge, doveva starsene fuori, ai margini della società, lontano da tutti, solo; solo col suo male. Ce lo ha detto la prima lettura. Ma quel lebbroso osò; osò ciò che la legge non permetteva di fare.

Gesù lo toccò; stese la mano e lo toccò; lo toccò e lo guarì. La lebbra scomparve all’istante. Gesù compì un gesto di bontà e di generosità; ma quel gesto ebbe conseguenze negative per lui. Il Vangelo ci ha detto: “Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti”.

Il lebbroso guarito, anziché tenere riservato il fatto, come Gesù gli aveva chiesto, era andato a dire a tutti: “Gesù mi ha guarito! Gesù mi ha toccato e mi ha guarito!” Toccare un lebbroso era diventare impuri, comportava il venirsi a trovare in posizione di estraneità rispetto a tutti, era cadere in stato di emarginazione. Gesù venne ad essere un emarginato; non poteva più entrare pubblicamente nelle città e nei villaggi. Solo sottoponendosi a determinati riti, abluzioni, esami e responsi di sacerdoti, si poteva venire recuperarti al vivere in società. Gesù, dunque, guarì un emarginato, lo riammise in società, e divenne lui un emarginato, fuori società.

Esperienza, questa, che conteneva in anticipo ciò che in modo molto più doloroso Gesù avrebbe sperimentato e vissuto. Gesù, incarnandosi, facendosi uomo, venne a contatto con l’uomo, venne a “toccare” l’uomo e il suo peccato. Gesù venne “contaminato” dal peccato dell’uomo. Non nel senso che l’avesse commesso lui; “Egli non commise peccato”, ci dice la Sacra Scrittura (1Pt 2,22), ma nel senso che egli prese su di sé il peccato dell’umanità, e venne a trovarsi, per così dire, lontano da Dio, estraneo a lui. Sulla croce Gesù gridò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34), citando il salmo 22, che continua dicendo: “Tu, Dio, sei lontano da me, dalla mia salvezza”. Gesù si sentì estraneo al Padre; si sentì emarginato rispetto al Padre. Tra lui e il Padre c’era tutto il peccato del mondo; il peccato dal peccato di Adamo fino al peccato dell’ultimo uomo che vivrà sulla terra.

Gesù estraneo a Dio! Gesù emarginato nei confronti di Dio! Noi, eravamo emarginati; noi, ci eravamo allontanati e posti in situazione di estraneità; noi eravamo fuori della comunione con Dio! E Gesù, “toccandoci”, prendendo su di sé il nostro peccato, la nostra lebbra, ci riportò alla comunione con il Signore, ci ricollocò tra le braccia del Padre, rimettendoci lui, soffrendo lui estraneità ed emarginazione. Ma Do lo risuscitò, gli diede la gloria più grande che ci sia, lo fece sedere alla destra di sé nell’alto dei cieli, re e signore dell’universo.

A quel Gesù, resosi emarginato per noi, emarginato per amore, noi possiamo ricorrere. Dice il Vangelo che a Gesù, costretto a rimanere in luoghi deserti, impedito di entrare in città e nei villaggi, la gente ricorreva da ogni parte. Per la gente Gesù non era un impuro; aveva toccato un lebbroso, sì, ma la lebbra non l’aveva preso; anzi egli aveva vinto la lebbra! Gesù era salvezza; Gesù era salvatore.

Con le nostre lebbre noi possiamo avvicinarci a Gesù. Nessuna legge ce lo impedisce; anzi tutto ci spinge a farlo. Gesù non teme il nostro peccato; Gesù è più forte del nostro peccato. Gesù non teme di diventare emarginato per noi; egli desidera immensamente toglierci dalla nostra estraneità ed emarginazione da Dio, riportarci alla piena comunione con il Signore, donarci salute, sanità interiore, salvezza, serenità, gioia.

“Signore -diciamo con il lebbroso- se tu vuoi, puoi purificarmi!”  –  Ed egli ci dirà: “Lo voglio, sii purificato”.

don Giovanni Unterberger

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