La ricchezza della povertà

 

Una signora mi disse un giorno: “Sapesse, don Giovanni, cosa ho scoperto di me facendo trasloco dalla mia vecchia abitazione alla nuova casa in cui ora abito! Pensavo di essere molto distaccata dalle cose, e che avrei eliminato tanti oggetti che ritenevo inutili o superflui, e invece, quando si è trattato di mettere nello scatolone delle cose da eliminare questa e quell’altra cosa, questo e quell’altro oggetto, mi dicevo regolarmente: ‘ma questa cosa può servirmi ancora, può ancora tornarmi utile’; e di fatto mi sono portata nella nuova abitazione quasi tutto quanto avevo in quella di prima. Non pensavo di essere così legata, da fili sottilissimi e come invisibili, a quanto possiedo…!”. Le parole di quella signora mi fecero venire in mente un particolare accadutomi pochi giorni prima: non trovavo più la mia penna stilografica che uso normalmente per scrivere, e con cui mi trovo molto bene, perché l’inchiostro esce fluente senza dover premere affatto sul foglio, a differenza di quando si usa la penna biro; ed ero contrariato e nervoso. Non vi dico la gioia di quando la ritrovai!

Il legame alle cose e l’istinto di possesso sono radici profondamente presenti dentro di noi, più profondamente presenti di quanto forse pensiamo. Quanti litigi per le cose, per i beni materiali! anche tra fratelli. L’avidità, la cupidigia, la brama di possedere son brutte malattie dell’animo.

Medicina a tali malattie è la povertà, la ricerca della povertà. Povertà intesa non nel senso di  miseria, ma nel senso di condizione di vita in cui si è capaci di accontentarsi dell’essenziale, del necessario. Mi fa sempre impressione, quando vado ospite in un monastero, osservare la stanza che mi viene assegnata nella foresteria del monastero: in essa c’è un letto, un comodino, un tavolo, una lampada, una sedia, un armadio, un inginocchiatoio e nulla più. E mi viene immediatamente da fare il confronto con la mia stanza che abito in Seminario, che ha molte altre cose, non proprio tutte necessarie e indispensabili…

Mi sono chiesto: come fare per vivere la povertà, per sapermi accontentare del poco, per non cedere all’avidità? Ho letto tempo fa una fiaba riportata da Anthony de Mello, che può aprire la strada ad una risposta. La trascrivo: “Il sannyasin era giunto in prossimità del villaggio e si stava sistemando sotto un albero per la notte quando un abitante del villaggio arrivò correndo da lui e disse: ‘La pietra! la pietra! dammi la pietra preziosa!’ – ‘Che pietra?’, chiese il sannyasin. “La notte scorsa Siva mi è apparso in sogno’, disse l’abitante del villaggio, ‘e mi ha detto che se fossi venuto alla periferia del villaggio al crepuscolo avrei trovato un sannyasin che mi avrebbe dato una pietra preziosa che mi avrebbe reso ricco per sempre’. Il sannyasin rovistò nel suo sacco e tirò fuori una pietra. ‘Probabilmente intendeva questa’, disse porgendo la pietra all’uomo. ‘L’ho trovata su di un sentiero nella foresta qualche giorno fa. Puoi tenerla senz’altro’. L’uomo osservò meravigliato la pietra. Era un diamante. Probabilmente il diamante più grosso del mondo perché era grande quanto la testa di un uomo. Prese il diamante e se ne andò. Tutta la notte si rigirò nel letto, senza poter dormire. Il giorno dopo allo spuntare dell’alba svegliò il sannyasin e disse: ‘Dammi la ricchezza che ti permette di dare via così facilmente questo diamante!”-.

La soluzione per non attaccare il cuore con avidità e volontà di possesso alla ricchezza è avere scoperto un’altra “ricchezza”; infatti senza una qualche ricchezza non si può stare. Mi vengono allora in mente le parole di Gesù: “Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21). San Paolo ci dice che una eredità straordinaria ci attende ed è preparata per noi nei cieli; è Dio stesso è la nostra eredità! (Rm 8,17); e aggiunge: “occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo le cose che Dio ha preparato in cielo per coloro che lo amano” (1Cor 2,9).  E san Pietro nella sua prima lettera scrive: “Sia benedetto Dio, che in Cristo ci ha rigenerati per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per noi, che dalla potenza di Dio siamo custoditi mediante la fede, in vista della salvezza” (1Pt 13-5).

Dio è nostra ricchezza, nostra eredità; con lui, col suo amore, con la sua grazia, con la sua presenza e compagnia che egli ci dona già in questa vita, e con i beni che egli ci ha promesso e che ci darà un giorno in cielo, noi siamo ricchi! Questa ricchezza possa riempire il nostro cuore e la nostra vita, e ci consenta quella libertà interiore che ci fa capaci di vera santa “povertà”.

 

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