8° Domenica dopo Pentecoste

(Rm 8,12-17;  Lc 16,1-9)

3 agosto 2014

L’astuzia è cosa buona o cosa non buona? Dipende dal fine e dai mezzi che la ispirano. C’è un’astuzia buona e c’è un’astuzia cattiva.

Alle volte ci si sente dire: “Guàrdati da quella persona, è una persona astuta”. Con ciò si vuole mettere in guardia da una persona che non ha scrupoli e che tende ad imbrogliare, a circuire, a trarre in inganno per i propri interessi. Ma c’è anche un’astuzia buona: quella a cui ci invita Gesù con la parabola dell’amministratore disonesto.

Quell’amministratore non viene lodato perché disonesto (anzi, la sua disonestà fu la causa per cui il padrone lo rimosse dall’ufficio di amministratore); ma quell’amministratore viene lodato in quanto astuto, “per la sua scaltrezza”, dice il Vangelo; cioè per il fatto che, dopo essere stato disonesto, egli si dimostrò astuto nel trovare il modo di farsi degli amici per mezzo del denaro che aveva disonestamente maneggiato.  Gesù conclude la parabola dicendo: “I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce”, intendendo dire che spesso le persone che non hanno fede e non hanno scrupoli morali sanno meglio trovare i mezzi più adatti e più efficaci per raggiungere i propri scopi non buoni e di puro interesse terreno, di quanto non facciano i credenti per raggiungere il vero e importante scopo, quello di salvarsi l’anima per l’eternità. Anche per salvarsi l’anima occorre una certa “astuzia”, quella di non attaccare il cuore alle cose di quaggiù in modo disordinato, e fare, invece, la volontà di Dio.

C’è una virtù che si avvicina all’astuzia buona: è la virtù della prudenza. La prudenza è la virtù che ci rende capaci di compiere in ogni momento ciò che è il meglio, ciò che giova di più al bene nostro e degli altri, ciò che compie di più la salvezza nostra e la salvezza altrui. Questa è autentica astuzia!

La prudenza alle volte ci modera, ci trattiene, ci fa agire con circospezione e con lentezza; e alle volte invece ci spinge, ci sollecita, ci sprona ad agire con decisione, con slancio, con impeto verso il bene. Il prudente è persona astuta!

Santamente astuto è colui che cerca in tutti i modi di evitare il peccato. Il peccato è il più grande male dell’uomo, è la realtà brutta che lo deturpa, che lo rovina, che gli toglie bellezza e dignità, che lo allontana da Dio. Stolto, davvero stolto, prima ancora che cattivo, è il peccatore che si abbandona al peccato!

Santamente astuto è colui che fa gran conto del tempo. “Il tempo è oro”, dice un proverbio. Il tempo è davvero cosa preziosa; quanto bene si può fare nel tempo! e il tempo non torna più; una volta trascorso, non torna più. Se sciupato, è perso per sempre. Davvero stolto l’uomo che, alla fine della vita, quando ormai di tempo non ne avesse più o ne avesse poco, dovesse dire: “Ho perso tanto tempo nella mia vita…”.

Santamente astuto è colui che nella sua condotta, nelle sue scelte, nei suoi comportamenti è vigile e cerca di piacere in tutto al Signore. Al Signore noi un giorno arriveremo, a lui un giorno ci dovremo presentare; che bello, che rasserenante, che dolce sarà potergli dire: “Signore, ti ho voluto bene; Signore, ho cercato di fare sempre ciò che a te piaceva”; e sentirsi dire da lui di rimando: “Bene, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore preparato per te fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25,21). Non sarà vera astuzia aver preparato così l’incontro con Dio?

Santamente astuto è colui che non si attacca indebitamente ed avidamente ai beni di quaggiù. “Passa la scena di questo mondo”, ci avverte la Scrittura (1Cor 7,31), e tutto è “di un momento” (2Cor 4,18); i beni del Cielo invece sono eterni. L’uomo saggio si fonda e mette radici nelle realtà che non passano. A non passare è Dio; a non passare sono le cose di Dio.

Santa astuzia, saggezza, sapienza: ecco il messaggio e l’invito che Gesù oggi ci rivolge.

Abbandonate la stoltezza – dice Dio nel libro dei Proverbi – e incamminatevi per la via della saggezza” (Prov 9,6).

Abbiamo bisogno di saggezza, abbiamo bisogno di santa astuzia, per non cadere nella stoltezza, e per non doverci un giorno rammaricare, quando ormai fosse troppo tardi.

don Giovanni Unterberger

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