29° Domenica del Tempo ordinario

(Is 45,1. 4-6; 1Tess 1,1-5b;   Mt 22,15-21)

                                                                                  Duomo, sabato 18 ottobre 2014

 La domanda posta a Gesù: “E’ lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?” era una domanda insidiosa. A porgliela furono farisei ed erodiani insieme; secondo loro Gesù non sarebbe potuto sfuggire al dilemma.

I farisei erano accesi nazionalisti; per loro l’unico signore e re legittimo di Israele era Dio; i Romani erano usurpatori e tiranni, nemici da cacciare, a cui non doveva essere pagato alcun tributo. Gli erodiani invece erano i collaborazionisti, i sostenitori del potere dei Romani, la parte di popolo compromessa con la dominazione straniera; secondo loro il tributo andava pagato, andava versato; era un preciso dovere.

Dunque se Gesù avesse risposto: “sì, il tributo è da versare”, sarebbe andato contro i farisei, e avrebbe potuto essere da loro accusato di collaborazionismo col potere straniero; se avesse risposto: “no, il tributo non è da versare”, sarebbe andato contro gli erodiani, e avrebbe potuto essere accusato di essere un ribelle e un sovversivo; da mettere a morte.

Gesù rispose: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Con queste parole Gesù pose una netta distinzione tra potere temporale e potere di Dio, scavalcando e correggendo l’idea di potere che sia i farisei che gli erodiani avevano in mente. Per i farisei esisteva solo il potere di Dio; essi pensavano Israele come una teocrazia, e il Regno di Dio, inaugurato dal futuro Messia, come il dominio diretto di Dio su tutta la terra, senza alcuna autorità civile, politica umana che reggesse i popoli. Dall’altra parte gli erodiani avevano in mente un potere puramente umano; a reggere i popoli era l’autorità civile, politica, senza alcun riferimento a Dio; per loro lo Stato aveva valore e potere illimitato, assoluto.

Gesù dicendo: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, volle far capire due cose importanti: la legittimità del potere civile, politico: i popoli vanno retti e governati da guide umane, politiche; e nei confronti di tale potere politico i membri della comunità hanno dei doveri, degli obblighi da assolvere. E tuttavia il potere politico non è un potere assoluto ed illimitato; c’è anche il potere di Dio; Dio pure ha i suoi diritti sugli uomini; diritti che nessun potere umano e politico può conculcare e negare.

Questa visione dei due “poteri” offerta da Gesù è illuminante e ci orienta. Al potere civile i membri della comunità devono qualcosa. I cittadini devono riconoscere lo Stato, dare il proprio apporto al mantenimento e al miglioramento della società civile. San Paolo scrivendo ai Romani dice: “State sottomessi alle autorità costituite. Rendete ciò che è dovuto: a chi le tasse, le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto” (Rm 13,1. 7). I cittadini devono riconoscere l’autorità civile e devono concorrere con i propri beni a che la società possa far fronte e provvedere alle esigenze e ai servizi necessari a tutta la comunità. Fa male sentire, alle volte, di evasioni fiscali di grande entità, e alle volte, addirittura totali. Ciò non è soltanto contro gli uomini e contro il bene comune, ma è anche peccato contro Dio. Il contributo di tutti al bene comune concorre al bene di tutti; il non concorrervi carica sulle spalle altrui pesi più grandi e più gravosi.

Che un popolo abbia un ordinamento statale, dunque, è volontà di Dio, però lo Stato non è realtà assoluta e suprema. Gesù aggiunge: “Rendete a Dio quello che è di Dio”. C’è qualcosa che è di Dio, e che anche lo Stato deve dare a Dio. Lo Stato deve dare a Dio il riconoscimento di Dio, il rispetto a Dio, il rispetto della legge di Dio. Qualora lo Stato andasse contro la legge di Dio perderebbe la sua autorità; una legge che lo Stato emanasse in contrasto con la legge di Dio sarebbe una legge sbagliata, una legge che i sudditi in coscienza non sarebbero tenuti ad osservare; e che, anzi, sarebbero tenuti a non osservare. Gli apostoli Pietro e Giovanni, trascinati davanti al Sinedrio all’indomani della Pasqua, e diffidati di continuare a predicare Gesù, dissero: “Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,19-20).

Ogni cittadino è tenuto ad osservare la legge di Dio prima ancora, e più ancora, che la legge dello Stato. Ed ogni legislatore, ogni palamento è tenuto a legiferare in conformità e secondo la legge di Dio, certo e sicuro che la legge di Dio non può essere se non per il bene vero delle persone.

“Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, ci dice ancor oggi Gesù. Cercheremo di far entrare queste sue parole nella nostra vita.

 

 

 

 

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