3° Domenica di Quaresima (forma ordinaria)

Es 20,1-17;   1Cor 1,22-25;   Gv 2,13-25)

Duomo di Belluno, sabato 7 marzo 2015

Il tempio di Gerusalemme era qualcosa di meraviglioso. C’era l’aula più sacra, il Santo dei santi, in cui in antico veniva conservata l’arca dell’alleanza con le tavole in pietra dei dieci comandamenti. Davanti ad essa il Santo, il luogo dei sacrifici, con l’altare su cui i sacerdoti sacrificavano a Dio l’incenso e le varie vittime offerte dai fedeli: agnelli, vitelli, giovenchi, tortore, colombi. Il tutto era circondato da cortili: il cortile degli uomini, il cortile delle donne, il cortile dei pagani.

Il tempio di Gerusalemme si presentava come un complesso murario di eccezionale imponenza; da solo occupava un terzo della superficie della città di Gerusalemme; e, fatto di pietra bianca, illuminato dal sole brillava e splendeva. Al tempo di Gesù era particolarmente mirabile, perché da quarantasei anni vi si lavorava in opere di restauro e di abbellimento.

Ma in quel tempio non tutto si svolgeva secondo Dio; il culto non era del tutto puro. I Sadducei, gestori del tempio, approfittavano delle offerte portate dai pellegrini per arricchire e per aumentare il proprio prestigio e il proprio potere presso il popolo. Favorivano il commercio e lo scambio di merci anche negli spazi sacri del tempio, e il culto risultava essere un culto più superficiale ed esteriore che non autentico ed interiore.

Gesù intervenne, e con gesto profetico richiamò a purezza e a verità. Ricordiamo, di passaggio, che questo gesto di Gesù divenne il principale capo di imputazione contro di lui nel processo davanti a Caifa e al Sinedrio.

Gesù, al tempio di Gerusalemme contrappose se stesso come tempio vero. Disse: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Egli si riferiva al tempio del suo corpo, della sua persona. Dopo tre giorni, una volta morto, egli sarebbe risorto. Gesù è il tempio vero, il tempio in cui viene celebrato il vero culto “in spirito e verità”, come dirà Gesù stesso alla donna samaritana (Gv 4,23).

Gesù offriva, ed offre tuttora, il culto gradito al Padre con la sua obbedienza, col suo amore, con l’offerta totale di sé a favore degli uomini. Quel culto è gloria perfetta a Dio, riconosciuto come sommo e supremo Signore; ed è salvezza per noi, che da quel culto fatto di croce, sacrificio non di agnelli e di vitelli come al tempio di Gerusalemme ma della propri vita, veniamo giustificati e riportati alla comunione con Dio.

In unione con Gesù tempio vero, anche noi siamo chiamati ad essere templi veri di Dio. San Paolo ci dice: “Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi?” (1Cor 3,16); voi siete il tempio di Dio.

La prima lettura ci ha indicato il modo fondamentale per essere tempio di Dio: l’osservanza dei comandamenti. I comandamenti sono la strada, la via; sono le indicazioni che, se seguite, fanno sì che il tempio del nostro cuore non sia imbrattato e sporcato dal peccato. Puro è il cuore di chi osserva la legge di Dio, e da un cuore puro, che osserva la legge di Dio, si innalza un culto puro e gradito al Signore. I dieci comandamenti, che in un primo momento potrebbero apparirci antipatici perché ci dicono: ‘devi fare questo…, non devi fare quello…’, sono in realtà i nostri più grandi amici. Essi ci rendono tempio santo di Dio. “Miei consiglieri sono i tuoi comandamenti”, dice il salmo (Sal 119,24). Seguendo tali consiglieri noi non ci perdiamo.

Dal tempio, poi, che siamo noi, noi possiamo offrire a Dio il sacrificio della vita. Tutto può essere vittima sacrificale, oblazione, offerta. Tutto. Non solo la preghiera, ma anche il lavoro; anche la vita di famiglia; anche il tempo libero impiegato bene; anche un gesto di aiuto e di solidarietà; anche un successo; anche un dolore; anche la fatica nel lottare contro una tentazione. Tutto può essere culto e sacrificio gradito a Dio.

Il tempio di Gerusalemme era una cosa meravigliosa; ma realtà più meravigliosa è il corpo risorto, la persona, di Gesù. E realtà meravigliosa siamo anche noi: luogo sacro, tempio di Dio, altare su cui deporre come vittima noi stessi, offrendola, da sacerdoti, a Dio.

 

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