6° Domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

(Rm 6,3-11;   Mc 8,1-9)

Belluno, chiesa di S. Stefano, 5 luglio 2015

Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci è l’unico miracolo di Gesù riportato da tutti e quattro gli evangelisti. Viene riportato con leggere varianti da ciascun evangelista, ma la sostanza è la stessa in ciascun Vangelo: Gesù si fa incontro alla fame dell’uomo.

Il fatto che questo miracolo sia riportato da tutti i Vangeli ci fa capire come questo miracolo sia stato sentito particolarmente importante dalla Chiesa primitiva. Importante perché interessò molta gente: i Vangeli parlano di una “folla” sfamata da Gesù; Matteo parla di quattromila uomini senza contare le donne e i bambini (Mt 16,38); Marco, Luca e Giovanni parlano di cinquemila persone (Mc 6,44; Lc 9,14; Gv 6,10).

Questo gesto miracoloso di Gesù fu sentito importante anche perché fece capire ai primi cristiani che Gesù era il Messia promesso. Infatti in Israele era atteso un Messia che avrebbe compiuto i gesti portentosi del grande condottiero Mosè, e del grande profeta Eliseo. Mosè aveva dato la manna al popolo (Es 16), e Gesù diede pane in abbondanza alla gente; Eliseo con venti pani, moltiplicandoli, aveva sfamato cento persone, Gesù con sette pani sfamò quattromila – cinquemila persone. Egli era il vero Messia.

Questo miracolo fu sentito importante anche per un terzo motivo: perché nel pane moltiplicato e donato da Gesù i primi cristiani ravvisarono il simbolo di un altro pane che Gesù aveva loro dato, il pane dell’Eucaristia nell’ultima cena, il giovedì santo. Gesù stesso era il vero pane: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo – egli disse – chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51).

Gesù, con la moltiplicazione dei pani, si fece incontro alla fame dell’uomo. Si mosse lui; il Vangelo dice che Gesù, vedendo molta folla che non aveva da mangiare, ne provò compassione, e moltiplicò i pochi pani che la gente aveva con sé.

Dio è provvidenza. Dio ha dotato il mondo, la terra, di sufficiente cibo e di sufficienti risorse perché tutti gli uomini possano avere il pane necessario e vivere in dignità. Se molti ancora soffrono la fame, è grave responsabilità e grave peccato di chi per egoismo trattiene una ricchezza che dovrebbe invece saper condividere con generosità e, prima ancora che per motivo di carità, per motivo di giustizia, come dicono con forza i Padri della Chiesa.

Cristo è colui che provvede a tutta la fame dell’uomo, anche alla fame di salvezza che l’uomo porta in sé. All’uomo affamato di speranza, di pace, di felicità, Cristo offre il suo pane capace di calmare il cuore dell’uomo; offre addirittura se stesso.

Nella prima lettura che ci è stata proclamata, l’apostolo Paolo ci ha offerto una pagina di altissima teologia; ci ha detto che Cristo incarnandosi, morendo e risorgendo, ha compiuto un’opera straordinaria nei nostri confronti: ci ha associati e uniti a sé, alla sua morte e risurrezione; per cui noi viviamo ormai della sua morte e risurrezione; noi beneficiamo di quella morte e risurrezione. Il nostro bisogno di salvezza, di vita che non finisce, di vita liberata e affrancata da ogni paura, sofferenza, dolore e peccato, trova risposta nel nostro essere stati uniti alla morte e risurrezione di Cristo. Quella morte e quella risurrezione sono “il pane”, il cibo, il nutrimento che ci assicurano la vita eterna. Quel “pane” è Cristo stesso; è lui, la sua persona, la sua vita, la sua morte, la sua risurrezione.

Noi abbiamo fame, ma di quale cibo ci cibiamo? Cerchiamo a sufficienza il pane che è Cristo? Non abbiamo altro pane che possa davvero saziare il nostro cuore. E’ lui “il pane”.

“Signore, dacci il tuo pane. Aiutaci a condividere con il fratello povero il pane materiale, e riempici di te, così che nessuno perisca e muoia di fame, di nessuna fame.

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