18a domenica del Tempo ordinario (forma ordinaria)

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Qo 1,2; 2,21-23;  Col 3,1-5. 9-11;  Lc 12,13-21

Duomo di Belluno, sabato 30 luglio 2016

San Benedetto, nella regola per i suoi monaci, prescrisse loro che quando fossero andati al mercato a vendere i prodotti del monastero, avessero a tenere i prezzi più bassi di quelli dei secolari, cosicché Dio venisse glorificato. San Benedetto voleva, in tal modo, evitare che i suoi monaci si presentassero alla gente avidi di denaro, e insieme intendeva curare in essi il vizio dell’avarizia, il vizio della cupidigia, dell’attaccamento ai beni di questa terra.

Contrastare l’avarizia era la preoccupazione anche di quel padre del deserto dei primi secoli di Cristianesimo che ai suoi confratelli prescrisse: “Quando andate al mercato non fissate voi il prezzo di quanto vendete, ma lasciatelo fissare dagli acquirenti; e quando comperate qualche cosa, pagate quello che vi viene chiesto, senza contrattare e chiedere sconti”.

Il vizio dell’avarizia era alle porte del cuore anche di quelle sante persone, dedite alla contemplazione, alla vita di preghiera e al servizio esclusivo di Dio. Il vizio dell’avarizia alberga nel cuore di tutti.

L’avarizia è uno dei vizi capitali, detti ‘capitali’ perché sono ‘caput’, cioè origine e punto d’inizio di altri vizi, di altri peccati. Dall’avarizia si originano discordie, liti, processi davanti al giudice anche tra familiari; abbiamo sentito nel Vangelo quel tale che era in lite col fratello per questioni di eredità, dire a Gesù: “Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità”. Dall’avarizia si originano ingiustizie, imbrogli, violenze. La sete di denaro produce grande corruzione nella società e tra le persone. L’avarizia indurisce il cuore, lo rende insensibile ai bisogni e alle necessità dei poveri; crea false sicurezze. Gesù dice: “Fate attenzione a tenervi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”, e racconta la parabola che abbiamo sentito.

Ci sono forme di avarizia eclatanti, ma ci sono forme di avarizia più sottili e più nascoste, che si infilano anche nel vivere comune e quotidiano. Una domanda che possiamo farci è: “Sono libero dalle cose? Sono attaccato a quell’oggetto, a quel bene? Sono geloso di quanto possiedo? So condividere con gli altri? Penso spesso al denaro? Faccio con facilità e volentieri carità?” Il libro dei Proverbi suggerisce di pregare il Signore così: “Non darmi, o Dio, né povertà né ricchezza, fammi avere il mio pezzo di pane” (Pr 30,8).

Avere il cuore libero dalle cose, e non schiavo di esse, permette di respirare. L’avaro pensa di possedere, e di fatto invece è posseduto; è posseduto da ciò che pensa di possedere, è schiavo di cose-padroni, e non ha pace nel cuore. Serve alla pace del cuore quanto dice Gesù: “Non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche del vostro corpo, di quello che indosserete. Il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Guardate i gigli del campo e gli uccelli del cielo: il Signore provvede a loro; provvederà anche a voi” (Mt 6,25-34).

Certo, dei beni necessari per vivere abbiamo bisogno, ma non dimentichiamo altri grandi beni. San Paolo nella seconda lettura ci ha esortati: “Cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio: rivolgete il pensiero alle cose di lassù”. E l’apostolo Pietro nella sua prima lettera ci dice: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo; egli ci ha rigenerati per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi” (1Pt 1,3-4). Abbiamo una eredità, ci attende una eredità in cielo; abbiamo dei beni grandissimi ed eterni che ci aspettano. Apprezziamo quelli, sentiamo il valore grande di quelli, ed allora il valore dei beni di quaggiù prenderanno il loro giusto posto, la loro giusta dimensione, significato e proporzione.

“Fa’, o Signore  -potremmo pregare con una bella preghiera della Liturgia- che passiamo attraverso i beni della terra senza perdere di vista i beni del cielo” (Colletta della 3^ domenica dopo Pentecoste- Forma straordinaria). Fa, o Signore, che usiamo dei beni di quaggiù senza attaccarvi avidamente il cuore, in attesa e alla ricerca dei beni eterni del cielo”.

don Giovanni Unterberger

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