25° Domenica del Tempo ordinario 2017 (forma ordinaria)

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(Is 55,6-9;   Fil 1,20-27;   Mt 20, 1-16)

Duomo di Belluno, sabato 23 settembre 2017

 

La parabola che abbiamo ora ascoltato ci stupisce e ci fa pensare. E’ una parabola, per così dire, ‘eversiva’, che sovverte i nostri criteri di giudizio, e fa sì che ci chiediamo: che tipo di giustizia è mai quella del padrone della vigna? Quel padrone non si comporta in modo giusto con gli operai che ha chiamato a lavorare nella sua vigna; dà a tutti la stessa paga pur avendo essi lavorato in misura disuguale.

La scena messa in campo da Gesù è una scena familiare agli ascoltatori. E’ il tempo della vendemmia e c’è bisogno di molta mano d’opera. Il proprietario di una grossa vigna si reca in piazza, sicuro di trovare là dei disoccupati. La prima chiamata avviene all’alba, l’ultima alle cinque del pomeriggio. Con i primi egli pattuisce un denaro -il salario abituale per una giornata di lavoro- ; con gli altri “ciò che è giusto”, e cioè -come gli interessati avranno certamente pensato- meno di un denaro. Ma ecco la sorpresa: a sera gli ultimi ricevono anch’essi un denaro intero come i primi. Questi si indignano, formano una delegazione e vanno dal padrone a protestare. Il padrone si giustifica con calma e conchiude dicendo al più scalmanato: “Amico, non ti faccio torto. Ti dispiace che io sia buono?” Gesù ha preso un pezzo di vita quotidiana e lo ha trasformato in parola di Dio.

Nella prima lettura abbiamo sentito Dio dire: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”; dov’è, allora, racchiuso nella parabola -ci domandiamo- il pensiero di Dio? Lo è nell’agire del padrone al momento della paga. Gli operai della prima ora restano stupiti e perfino scandalizzati dall’agire di quel padrone: la stessa paga per tutti! Ma si scandalizzano a torto; la risposta del padrone e la giustificazione che egli dà del suo agire è ineccepibile e insindacabile: “perché io sono buono”.

La giustizia retributiva misura dal merito, la bontà invece dal bisogno. I chiamati alle cinque del pomeriggio sono colpevoli di starsene oziosi e di farsi venire a cercare dal datore di lavoro, anziché cercarlo loro, il lavoro; tuttavia il padrone, più che alla loro colpa, guarda alla loro necessità. Il salario di un’ora -un quinto, o meno, di un denaro- non basta per il mantenimento giornaliero di una famiglia; i loro figli avranno fame, quando il padre se ne tornerà a casa a mani vuote. Il padrone ha compassione della loro povertà; per questo fa pagare loro il salario dell’intera giornata. La parabola non descrive un atto di ingiustizia (gli operai della prima ora ricevono il loro dovuto), ma il gesto di un uomo animato da bontà e generosità verso chi, pur non meritandolo, è nel bisogno. La pura giustizia è superata e perfezionata dalla carità dalla bontà, dall’amore.

Così è Dio!, voleva dire Gesù. Dio è uno che ha ed esercita una giustizia del tutto particolare; una giustizia che non lascia assolutamente senza ricompensa i meriti, l’impegno, gli sforzi di bene, le opere buone che l’uomo compie, ma che va al di là. Molto al di là! Perché ogni uomo, in fondo, è inadempiente con lui, gli è in debito, è peccatore, e se Dio usasse la stretta giustizia con l’uomo, nessuno sarebbe salvo. “Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere?”, recita il salmo (Sal 130,3);  e il profeta Isaia esclama: “Siamo diventati tutti come una cosa impura; come un panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia” (Is 64,5); tutti siamo rinchiusi nel peccato, dice san Paolo, e abbiamo bisogno di misericordia (cfr Rm 11,32). “Ma tu non ci tratti secondo le nostre colpe, Signore, non ci ripaghi secondo i nostri peccati”, esclama fiducioso e pieno di speranza il salmista (Sal 103.10). Dio è buono con noi, va oltre la stretta giustizia. Ci tratta non secondo giustizia, ma secondo il nostro bisogno, il bisogno che abbiamo di essere salvati, e ci salva.

Gli operai della prima ora mormorarono contro il padrone, invidiosi che agli operai delle cinque del pomeriggio fosse dato quanto veniva dato a loro che avevano “sopportato il peso dell’intera giornata e il caldo”. Ma in realtà, davanti a Dio siamo tutti nella condizione degli operai dell’ultima ora, persone che hanno bisogno di un trattamento di favore, di benignità gratuita, di un dono non meritato. Realtà, ed esperienza, questa, che deve spingerci a trattare anche noi i nostri fratelli con una misura che non sia di sola stretta  giustizia, ma di generosità e di carità.

don Giovanni Unterberger

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