5a domenica del Tempo Ordinario (forma ordinaria)

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(Gb 7,1-4. 6-7;   1Cor 9,16-19. 22-23;   Mc 1,29-39)

Duomo di Belluno, sabato 3 febbraio 2018

 

C’è una perla, nel Vangelo che abbiamo ora ascoltato, che non vogliamo perdere. La perla è questa: “Al mattino presto Gesù si alzò quando era ancora buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”. Raggiunto da Simon Pietro che lo invitava a rientrare a Cafarnao dove la gente lo attendeva, Gesù rispose: “Andiamocene nei villaggi vicini, perché anche lì io devo predicare”, e iniziò l’attività della nuova giornata.

Gesù, nei due anni e mezzo di vita pubblica, era letteralmente assediato dalla gente. Ciò che diceva, ciò che faceva, le guarigioni e i miracoli che compiva, gli attiravano l’attenzione e l’interesse di tutti. A lui accorrevano -dicono i Vangeli- dalla Galilea, dalla Giudea, da Gerusalemme, dall’Idumea, dalla Transgiordania, da Tiro, da Sidone (cfr Mc 3.7-8). E Gesù si dava a tutti, non si negava a nessuno; era sempre tra la gente e con la gente: predicava, insegnava, guariva, consolava, risuscitava. Era davvero ‘tutto a tutti’.

Ma prima che essere ‘tutto a tutti’, Gesù era ‘del Padre’: “Al mattino presto si alzò quando era ancora buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”. Il Padre era ‘il primo’ nella sua vita. Non erano le folle ‘il primo’ di Gesù, lo era il Padre. “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”, disse un giorno agli apostoli (Gv 4,34); e ai Giudei che gli contestavano quanto andava facendo disse: “Io non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Gv 8,28). Prima di guarire i malati e di risuscitare i morti, Gesù alzava gli occhi al cielo per chiedere al Padre se consentisse a quelle guarigioni, se esse fossero nella sua volontà (cfr Gv 11,41), altrimenti non le avrebbe operate. Quanto Gesù faceva sgorgava e derivava dal suo rapporto col Padre.

La spiritualità di Gesù era impostata in un modo preciso: prima Dio, e poi i fratelli; dal rapporto con Dio il rapporto con la gente, con le persone, secondo quanto aveva indicato la Paraola di Dio nell’Antico Testamento: “Il primo e il più grande comandamento è: ‘Amerai Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente; poi c’è un secondo comandamento: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso’ ” (cfr Mt 22,36-39 che cita Dt 6,5 e Lv 19,18). Del resto anche il Decalogo aveva messo i doveri verso Dio sulla prima tavola e i doveri verso il prossimo sulla seconda. Gesù non era un semplice filantropo; Gesù amava il Padre, e da quell’amore andava alla gente.

E’ la giusta indicazione per noi: non una vita impostata in orizzontale, ma una vita impostata in verticale, che poi scende all’orizzontale. La croce, col suo simbolismo, ce lo dice: non è l’asse orizzontale che sostiene quello verticale, ma è l’asse verticale che sostiene quello orizzontale. Una vita di famiglia persevera buona e unita, una vita di comunità, anche parrocchiale, conserva la comunione in se stessa, uno sforzo di accoglienza del fratello bisognoso e povero resiste generoso e forte nella misura e in proporzione che c’è rapporto con Dio.  E’ da lì che viene l’amore, la capacità di donare, la capacità di sacrificarsi per i fratelli. “Se Dio scompare dall’orizzonte umano                    -affermava papa Benedetto XVI- tutto viene meno, e l’uomo è perduto”. Del resto Gesù ci ha detto, con estrema e inequivocabile chiarezza: “Senza di me, senza Dio, non potete fare nulla” (Gv 15,5).

E’ fondamentale recuperare il rapporto con Dio, curarlo, approfondirlo, porlo a fondamento del vivere, in modo che Dio sia ‘il primo’, come lo era per Gesù. Se il mondo ancora oggi soffre molto, è perché gli uomini lasciano poco posto a lui. E’ Dio la fonte del bene e della salvezza.

don Giovanni Unterberger

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