3^ domenica di Quaresima (forma ordinaria)

Il fico maledetto – icona

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(Es 3,1-8a.13-15;   1Cor 10,1-6.10-12;   Lc 13,1-9)

Duomo di Belluno, 24 marzo 2019

Era capitato che a Gerusalemme, in occasione di una Pasqua, alcuni pellegrini venuti dalla Galilea per la festa, avessero provocato dei disordini in città, e che il procuratore romano Ponzio Pilato fosse intervenuto con una violenta repressione nei loro confronti, uccidendoli proprio nel momento in cui essi stavano sacrificando gli agnelli pasquali; tanto che il sangue degli agnelli, che doveva venire versato dai sacerdoti sull’altare degli olocausti, si mescolasse col loro sangue. Il duro intervento dell’autorità romana aveva assunto una particolare gravità per il sacrilegio perpetrato nel luogo santo del tempio, durante il rito liturgico, con la profanazione del sangue sacrificale.

La gente cercava di spiegare il fatto come una punizione per i peccati di quei galilei. E Gesù non negò che fossero peccatori, ma -disse- non più degli altri; tanto che invitò tutti alla conversione, perché non avessero a cadere anch’essi sotto un severo giudizio.

L’invito alla conversione Gesù lo rivolse prendendo lo spunto anche da un altro fatto doloroso accaduto. Era successo che una torre fatiscente che sovrastava la piscina di Siloe, a Gerusalemme, fosse improvvisamente crollata, e che nel crollo fossero rimaste uccise sotto le macerie diciotto persone. Anche in questo caso la gente aveva visto una punizione divina su quelle persone, per i loro peccati. Ma Gesù disse: “Credete che quelle persone fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.

Con queste parole Gesù voleva far prendere coscienza che siamo tutti peccatori, cosa che facilmente dimentichiamo quando fissiamo lo sguardo sui peccati degli altri. Forse ci accade che leggendo i giornali o guardando la televisione, di fronte a certi delitti veramente orribili, ci venga naturale e spontaneo di condannare quei comportamenti, ed è giusto; ma forse rischiamo un po’ di dimenticare la nostra condizione di peccatori, e in qualche modo di anestetizzarla. Siamo peccatori.

 Sul peccato pende un giudizio; non pende il massacro di Ponzio Pilato o il crollo della torre della piscina di Siloe, ma pende il giudizio di Dio. Dio non può accettare il peccato; il peccato non può sfuggire al giudizio di Dio. Per questo Gesù invitò i suoi ascoltatori quel giorno a Gerusalemme, e invita, oggi, noi, a conversione. Ci è dato tempo. Il padrone della vigna aveva deciso di tagliare la pianta di fichi che già da tre anni non dava frutti, ma si lasciò convincere dal vignaiolo a dargli ancora tempo: “Padrone -disse questi- lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”.

Abbiamo tempo, ci è dato tempo; ma non un tempo infinito. “Se no, lo taglierai”, conclude il vignaiolo. La Chiesa, con i suoi doni, con la Parola di Dio, con i Sacramenti, con i suoi mezzi di salvezza ci zappa attorno, ci mette il concime buono attorno, ma tocca a noi fare la nostra parte, mettere il nostro impegno; così come toccava a quel fico approfittare del terreno zappato attorno a lui e assimilare il concime.

Ci dia il Signore volontà sincera di conversione; volontà di iniziarla, o di riprenderla (perché per il passato l’avremo già più volte iniziata e intrapresa); ma di riprenderla subito, e con vigore, ascoltando l’invito del Siracide: “Figlio, non aspettare a convertirti al Signore e non rimandare di giorno in giorno” (Sir 5,8). La conversione sarà fonte di vita, di gioia, di serenità e di pace; di salvezza eterna.

don Giovanni Unterberger

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