Domenica della Sacra Famiglia (forma straordinaria)

Agnolo Bronzino – Sacra Famiglia con Sant’Anna e Giovanni Battista bambino – 1545-1546

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(Col 3,12-17;   Lc 2,42-52)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 12 gennaio 2020

Se c’era una famiglia religiosa e santa, in cui si viveva secondo Dio, era la santa famiglia di Nazareth. Il brano di Vangelo ce l’ha presentata in un momento di fede, in occasione di un pellegrinaggio a Gerusalemme, probabilmente per la festa di pasqua. Una famiglia santa, in cui le cose sarebbero dovute andare sempre bene, procedere tranquille, in pace e in piena serenità, senza problemi e malintesi. Invece Maria e Giuseppe chiedono a Gesù: “Figlio, perché ci hai fatto così? Eravamo in angoscia per te!”. Gesù, senza avvisarli, anziché partire per ritornare a Nazareth con loro, si era trattenuto nel tempio. Difetto di comunicazione, difetto di comunione.

La comunione tra le persone non è cosa automatica, immediata al punto da riuscire sempre e comunque. Gesù era vicino ai suoi genitori, e insieme ne era lontano; viveva con loro, ma esisteva anche in un’altra dimensione; era uomo, e insieme Dio. “Perché mi cercavate?”, egli risponde al rimprovero -rimprovero, anche se dolce- di Maria. “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Il testo greco dice propriamente: “non sapevate che devo ‘essere’, che devo ‘stare’, nelle cose del Padre mio?”. Il ‘luogo’ in cui Gesù sentiva di dover essere e stare erano le cose di suo Padre; anche Maria e Giuseppe -certamente- si saranno sforzati di essere e di vivere secondo Dio; ma Gesù, che era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio, stava in modo del tutto particolare in Dio, in comunione con lui. C’era disparità di livelli tra lui e Maria e Giuseppe. Fino al punto che anche dopo che Gesù ebbe dato loro la sua risposta e aver spiegato il motivo per cui si era trattenuto al tempio, “essi -dice l’evangelista- non compresero le sue parole”. Ancora non compresero… In famiglia è possibile la non comprensione, anche se di fondo ci si vuole bene. Maria, Giuseppe e Gesù si volevano bene.

Il brano evangelico si conclude dicendo: “Gesù ripartì con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso”. La santa famiglia restò unita; la difficoltà di capirsi non la portò alla divisione, alla separazione, alla contrapposizione dei membri all’interno di sé. Vinse la concordia. La parola ‘concordia’ contiene la parola ‘cuore’. Le menti, i modi di pensare e di vedere le cose possono essere diversi e spingere alla divisione, ma la concordia, cioè i cuori, che sono la sede dell’amore e della volontà, possono tenere uniti anche pensieri differenti, con lo sforzo di accoglienza, di accettazione, e di sopportazione.

San Paolo nell’epistola ha detto: “sopportandovi a vicenda”. La sopportazione può sembrare qualcosa di non granché alto e nobile; altre forma di amore e di carità possono apparire migliori e più belle; ma la sopportazione è una forma di carità altissima e grandemente meritoria, perché è carità sotto sforzo, è carità fatta di sacrificio, è amore a tutta prova. Non guardiamo con occhio poco positivo la sopportazione; essa è qualcosa di grande e di prezioso, anche agli occhi di Dio. Bene, poi, se aggiungiamo le altre virtù elencate da Paolo: la misericordia, la bontà, l’umiltà, la mansuetudine, la pazienza.

Alla santa famiglia, che oggi celebriamo, chiediamo forza e aiuto per le nostre famiglie e per le famiglie di tutto il mondo. Non è sempre facile la vita di famiglia, ma la grazia di Dio è forte. Confidiamo in quella grazia, invochiamo quella grazia, e avremo il dono della perseveranza.

don Giovanni Unterberger

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