22^ domenica dopo Pentecoste

Denario di Giulio Cesare

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(Mt 22,15-22)

Domenica 21 ottobre 2021, risalente al 2011

Ci aiuta a capire questo Vangelo ricordare brevemente il suo contesto geografico e storico. Siamo a Gerusalemme, in prossimità della Pasqua. Gesù si trova nei cortili del tempio ad insegnare. I suoi avversari sono al limite della sopportazione perché già da due anni e mezzo questo rabbino autodidatta, che viene dalla Galilea, va spargendo insegnamenti personali non in linea, secondo i capi religiosi, con la fede ebraica ufficiale, e va facendo adepti in mezzo al popolo. Occorre fermarlo. In quei giorni, poi, di vigilia di Pasqua, c’era più gente del solito a Gerusalemme, e il pericolo che crescessero i suoi discepoli era maggiore. Occorreva intervenire senza perdere tempo.

I farisei chiedono aiuto agli erodiani. I farisei erano fortemente contrari al dominio romano sulla Palestina, perché era un dominio pagano, e perché l’unico signore e sovrano di Israele doveva essere Dio. Gli erodiani invece erano i sostenitori del potere romano, i collaborazionisti col potere, i sostenitori di Erode. Due partiti dunque tra loro totalmente contrari, ma che in questo momento si uniscono per mettere in difficoltà Gesù, per coglierlo in fallo e poterlo mettere a morte. Dice il Vangelo: “I farisei tennero consiglio per vedere di cogliere Gesù in fallo, e mandarono i proprio discepoli con gli erodiani a dirgli…”.

Ecco dunque la delegazione. Gesù si trova davanti farisei e erodiani insieme. Il quesito posto era ben studiato: “E’ lecito i no pagare il tributo a Cesare?”. Il che era come dire: “Riconosci tu un potere politico, il potere romano, su Israele?”. Se Gesù avesse risposto “sì”, avrebbe avvallato l’occupazione romana e si sarebbe messo contro i farisei, reo di morte di fronte alla Legge di Mosè. Se avesse risposto “no”, sarebbe apparso un anarchico, un rivoluzionario e un eversivo; si sarebbe messo contro gli erodiani e sarebbe potuto essere deferito all’autorità civile e messo in croce. Dunque la malizia della domanda stava nel costringere Gesù dentro due posizioni che, sia l’una che l’altra, l’avrebbero dovuto mettere in difficoltà. Ma Gesù anche in quell’occasione si salvò. Si fece mostrare una moneta che portava l’effige dell’imperatore (Tiberio, in quel momento) e rispose: “Date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”.

In questo modo Gesù affermò il principio della legittimità di una autorità civile sui popoli; ogni popolo ha bisogno di essere guidato e governato da una autorità. Non avevano quindi ragione i farisei a dire che solo Dio deve regnare sui popoli e che non c’è spazio e posto per nessuna autorità civile e politica. D’altra parte però non avevano ragione neppure gli erodiani, i quali sostenevano in tutto e per tutto  i diritti del potere costituito, ad oltranza e senza limitazioni.

Il potere costituito, sia pur legittimo, si trova a dover confrontarsi con un altro potere, ben più grande di lui, il regno e la signoria di Dio. Dio è al di sopra di tutto, anche di ogni potere politico. Ogni potere politico deve conformarsi alla legge di Dio; gli ordinamenti e le leggi che esso si dà devono essere secondo il Signore. Il cittadino deve fare il buon cittadino, osservare le leggi dello Stato, prendere parte al bene comune contribuendo con le tasse, ma senza adeguarsi e senza obbedire ad eventuali leggi che lo Stato emanasse contro la legge di Dio. Vale anche qui l’affermazione dell’apostolo Pietro davanti al Sinedrio che gli ordinava di non predicare più Gesù; Pietro rispose: “Se sia giusto innanzi a Dio obbedire agli uomini più che a lui, giudicatelo da voi stessi” (At 4,19).

L’uomo, assolti i suoi doveri verso lo Stato, deve impegnarsi ad assolvere anche i suoi doveri verso Dio. “Date a Dio quello che è di Dio”, dice Gesù. E qui si apre un capitolo senza fine. Che cosa c’è infatti che non sia di Dio, e quindi che non sia da dare, da restituire a lui? Di Dio è la vita, di Dio è il tempo, di Dio è la mente, il cuore, le forze, tutto. Tutto quindi deve essere ridato a Dio, deve essere restituito a lui in un gesto di libertà e di grata riconoscenza. Libertà e grata riconoscenza sono i segni veri e giusti del restituire tutto a Dio. Proviamo a farlo; esercitiamoci a fare così.

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