4^ domenica del Tempo ordinario

Giovanni Bellini – La Trasfigurazione – 1478

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(Ger 1,4-5. 17-19;   1Cor 12,31 – 13,13;   Lc 4,21-30)

Sabato, 29 gennaio 2022, risalente a sabato 30 gennaio 2016

Racconta un midrash ebraico: Un rabbino stava facendo lezione, e chiese ai suoi alunni: “Quando, secondo voi, sulla terra c’è sufficiente luce così che si possa vedere? Quando si può dire che si è fatto giorno?” – Quando – rispose un alunno –  si riesce a distinguere un melo da un pero”.       – “No, disse il rabbino; non si può ancora dire che sia arrivato il giorno” – “Quando – rispose un altro alunno – si riesce a distinguere un uomo da una donna”. – “Non ancora”, disse il rabbino. “Quando – rispose un terzo alunno – si riesce a vedere che siamo tutti fratelli”. – Ecco, sì, disse il rabbino, quando ci si vede e ci si riconosce tutti fratelli, allora si può dire che c’è luce sufficiente sulla terra, e che è arrivato il giorno, perché a fare luce, la vera luce, è l’amore”.

Abbiamo ascoltato, nella seconda lettura, l’inno all’amore che Paolo scrisse ai cristiani di Corinto. I cristiani di Corinto avevano particolare bisogno di un inno all’amore, perché essi, tra di loro, erano molto divisi e discordi, si erano divisi in gruppi e fazioni contrapposte (1Cor 1,11-12). Ma non solo i Corinzi soffrivano di divisioni e discordie. La comunità cristiana di Filippi soffriva all’interno di sé per la lotta di due donne, benemerite per la diffusione del Vangelo ma che non riuscivano ad andare d’accordo tra di loro (Fi 4,2-3), e portavano scompiglio e divisione in tutta la comunità; tanto che l’apostolo Paolo sentì di rivolgersi all’intera comunità scrivendo: “Non fate nulla per spirito di vanità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Fil 2,3-4). Le divisioni e le lotte dovevano essere forti e furibonde all’interno della comunità cristiana della Galazia, se Paolo scrisse loro: “Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” (Gal 5,15).

Non c’è lettera in cui Paolo non esorti all’amore, alla carità. Agli Efesini scrive: “Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amati” (Ef 5,2). Ai Colossesi scrive: “Rivestitevi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione” (Col 3,12-14). E ai Romani scrive: “Accoglietevi tra voi gli uni gli altri come Cristo accolse voi” (Rm 15,7).

Tutte le comunità cristiane degli inizi, pur fervorose per la pronta e generosa adesione al Vangelo, avevano il problema di vivere la carità. E’ il problema di ogni comunità; di ogni comunità piccola o grande che sia; di ogni comunità anche credente; di ogni parrocchia, di ogni convento e monastero, di ogni famiglia. In ogni tempo. Nel cuore dell’uomo, di ogni uomo, c’è un forte ‘io’; un ‘io’ che vuole imporsi e vuole essere a tutti i costi lui prima di ogni altro; e ciò rende difficile la carità.

Una volta un mio amico burlone mi disse: “Per forza siamo cresciuti egoisti; ci hanno educato ad esserlo. A scuola ci hanno insegnato a coniugare i verbi in questo modo: ‘Io sono, tu sei; io amo, tu ami; io gioco, tu giochi; io lavoro, tu lavori’. Prima sempre l’ ‘io’ e poi il ‘tu’. Avrebbero dovuto insegnarci a partire col ‘tu’ e poi con l’ ‘io’!” Era, evidentemente, una battuta la sua, che non intendeva scardinare il metodo di insegnamento, ma che nascondeva una precisa realtà: siamo tendenzialmente egoisti.

Ecco allora che abbiamo bisogno dell’inno alla carità, all’amore, di Paolo. Nella prima parte esso ci dice che l’amore, la carità, è la vera grandezza dell’uomo. La grandezza di una persona sta ed è proporzionale alla sua carità, alla sua capacità di amare. Non sta nella sua cultura: “Parlassi anche tutte le lingue degli uomini e degli angeli…”; non sta in doti spirituali particolari: “Avessi il dono della profezia e possedessi tanta fede da trasportare le montagne…”; non sta in gesti straordinari compiuti per farsi notare e non per amore: “Dessi anche tutti i miei beni per averne vanto…”. La grandezza di una persona sta nella sua carità. Senza la carità -dice Paolo- “sarei un bronzo che risuona, un cimbalo che strepita; non sarei nulla”.

Nella parte centrale dell’inno Paolo enumera quindici caratteristiche della carità, dell’amore vero. Con esse possiamo confrontarci, possiamo misurarci, cercare di farle nostre. E nella terza parte dell’inno Paolo afferma ancora una cosa di grande importanza; dice che la carità varca i limiti del tempo ed è eterna. Tutto scomparirà, resterà la carità; resterà ciò che è stato fatto con carità e con amore, perché “Dio è amore” (1Gv 4,8), e Dio resta; e resta l’amore.

Domandiamo allora al Signore l’amore; domandiamolo in questa Messa e in ogni Messa. La Messa è l’amore assoluto e infinito di Gesù morto in croce per noi che ci viene messo davanti e offerto. Con la Comunione noi ci uniamo, attingiamo, a quell’amore. Ci dia il Signore di saper veramente amare, così che ci sia luce, sia ‘giorno’ sulla terra.

 don Giovanni Unterberger

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