18^ domenica del Tempo Ordinario

Quentin Massys – Gli usurai – 1520

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(Qo 1,2; 2,21-23; Col 3,1-5. 9-11; Lc 12,13-21)

Sabato 30 luglio 2022, risalente al 3 agosto 2013

“Tenetevi lontani da ogni cupidigia” è l’invito e la raccomandazione che Gesù ci fa in questa Liturgia.

La cupidigia è una brutta cosa; è uno dei sentimenti e delle inclinazioni del cuore più deleterie per l’uomo: lo schiavizza e gli compromette i rapporti con i fratelli. La parola “cupidigia” viene dal latino “cùpere”, che significa “desiderare”, e indica generalmente un desiderio non buono, avido, egoista, passionale; una brama, più che un desiderio. Il latino ha un altro verbo per dire “desiderare”, appunto il verbo “desiderare”, che indica generalmente un desiderio buono, sano, positivo; “cùpere” invece esprime desiderio cattivo, malato, da cui le parole “cupidigia”, “concupiscenza”. “Tenetevi lontani da ogni cupidigia”, invita Gesù.

La cupidigia può dirigersi e orientarsi verso realtà di vario e diverso tipo: può dirigersi verso il sesso, verso l’affermazione di sè, verso il potere, verso i beni materiali. E’ la cupidigia di quest’ultimo tipo, verso i beni materiali, quella a cui si riferisce Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato.

L’occasione gli è data da una lite per eredità. Due fratelli litigano per i beni lasciati in eredità dal loro padre, e chiedono a Gesù che si faccia arbitro nella loro questione. Ma Gesù non accetta la richiesta; egli avverte nel cuore di quei due fratelli un attaccamento smodato e avido ai beni lasciati dal padre, e capisce che non sarebbe riuscito a far loro trovare un accordo, a comporre la loro lite; per cui dice: “Chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra d voi?; e li ammonisce: “Fate attenzione, e tenetevi lontani da ogni cupidigia; liberatevi il cuore dall’attaccamento smodato e sbagliato ai beni materiali; solo così potrete trovare pace”.

L’attaccamento ai beni materiali si presenta e dà l’illusione all’uomo di essere “padrone” dei beni materiali che possiede; in realtà ne è posseduto, ne è asservito, ne è fatto “schiavo”. Sono essi a dominare, a vincere, a signoreggiare l’animo e il cuore. E accanto a questo deleterio effetto, l’attaccamento smodato e cupido ai beni materiali ne produce anche un altro, altrettanto brutto: impedisce e compromette la comunione con i fratelli, con il prossimo. Esempio chiaro è la lite tra fratelli riportata nel Vangelo.

I beni materiali, che potrebbero,e dovrebbero, essere una bellissima occasione di comunione e di condivisione, di solidarietà tra gli uomini, orientata a creare, a favorire e a far crescere la fraternità tra di loro, rischiano di essere occasione e causa di discordie, di dissidi, di indurimento del cuore, di sopruso e di ingiustizie, perfino di crudeltà.

Il Qoèlet nella prima lettura ammonisce: “Vanità delle vanità; tutto è vanità”. Nel testo ebraico c’è la parola “hébel” (הֶבֶל), che significa “soffio, fiato, vapore”, realtà inconsistente. I beni di quaggiù, i beni materiali, sono “realtà inconsistente”; su di essi non si può fondare la prioria vita, il proprio destino. Gesù dice: “Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”. E san Paolo è pure lui deciso e forte; nella seconda lettura egli ci ha detto: “Fate morire ciò che appartiene alla terra: impurità, cattivi desideri, e quella cupidigia che è idolatria”. La cupidigia dei beni materiali è idolatria, è far assurgere a divinità il denaro, la ricchezza, il capitale, al posto di Dio, unico Dio.

Il ricco possidente della parabola era tutto intento a capitalizzare, ad accrescere il suo patrimonio: “I magazzini che ho -dice- non mi bastano più, sono insufficienti per tutto il raccolto; li demolirò e ne costruirò di più grandi, di più capaci”. Che bello sarebbe stato se avesse condiviso il “di più” con i poveri, con i bisognosi! Se invece di pensare a diventare ancora più ricco di quanto già era, avesse pensato a procurarsi un tesoro in cielo, ad arricchire presso Dio! “Procuratevi un tesoro in cielo con le vostre ricchezze”, dice Gesù (Lc 12,33). Ciò che si dona agli altri è ciò che troveremo un giorno. Ciò che egoisticamente avremo tenuto per noi, andrà perduto per sempre. “Chi aiuta il povero fa un prestito a Dio”, dice il libro dei Proverbi (Prov 19,17); e Dio onora i prestiti ricevuti, non si lascai vincere in generosità; non rimane con debiti sospesi.

Allora, liberi nel cuore dalla cupidigia dei beni materiali, saremo capaci di generosa condivisione e di vera carità. “Non negare un beneficio a chi ne ha bisogno, se è in tuo potere il farlo”, dice il libro dei Proverbi; “non dire al tuo prossimo: ‘Va’, ripassa, te lo darò domani’, se tu hai ciò che ti chiede” (Prov 3,27-28). E il Siracide dice: “Non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi; non negare un dono al povero; non respingere la supplica di chi è in difficoltà” (Sir 4,1-4).
San Basilio Magno in una sua omelia disse ai suoi cristiani: “Se hai dato all’affamato, diventa tutto tuo ciò che gli hai donato, anzi ritorna a te accresciuto. Largheggia con ciò che possiedi, sii generoso, anzi munifico, nel dare ai poveri. Quanto dovresti essere grato a Dio, donatore benefico, per l’onore che ti viene fatto! Quanto dovresti essere contento di non dover tu battere alla porta altrui, ma gli altri alla tua! E invece sei intrattabile e inabbordabile. Eviti di incontrarti con chi ti potrebbe chieder qualche spicciolo. Tu non conosci che una frase: ‘Non ho nulla e non posso dar nulla, perché sono nullatenente’. In effetti tu sei veramente povero, anzi privo di ogni vero bene, Sei povero di amore, povero di umanità, povero di fede in Dio, povero di speranza nelle realtà eterne”.

“Fatevi dei tesori presso Dio, arricchite presso Dio”, ci esorta Gesù. Il “di più” che abbiamo sia dato a chi ha meno, a cui non ha il necessario per vivere, a chi fa fatica ad andare avanti nella vita. Teniamoci lontani da ogni cupidigia.


don Giovanni Unterberger

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