Gruppo, comunità, comunione

L’uomo è un individuo, un essere caratterizzato in modo unico e irripetibile; non ci sono due persone uguali tra i sette miliardi che siamo sulla terra, né fra tutti coloro che furono nella storia umana passata, né fra quelli che saranno nella storia umana a venire. Ogni persona è un mondo diverso dal mondo di ogni altra persona. Questa realtà segna e custodisce l’identità di ciascuno. E, insieme, questa realtà contiene l’insidia di voler difendere, salvaguardare, e affermare la propria identità fino a chiudersi a riccio in sé stessi, e mettersi in competizione e in contrapposizione con gli altri. Superato e vinto questo pericolo, l’essere realtà unica e irripetibile è un grande valore, una cosa molto bella, che ci fa assaporare il valore di noi stessi, di ciascuno di noi.

Ma questa dimensione “individuale” non è l’unica nostra dimensione; noi abbiamo anche una dimensione “sociale”. Noi siamo degli “individui”, sì, ma che sono fatti per stare insieme, per entrare in comunione con altri esseri simili a noi, per fare cerchio. Prova ne è il fatto che l’isolamento (non la solitudine, ma l’isolamento) è avvertito come qualcosa di negativo, di brutto, di fonte di sofferenza e di dolore. Ognuno di noi aborre dall’isolamento. Quindi non siamo fatti né per scomparire negli altri, perché siamo individui unici e irripetibili, né per vivere isolati dagli altri, perché siamo individui “sociali”, fatti per vivere insieme.

La nostra dimensione “sociale” si può esprimere e realizzare secondo tre forme, in tre modi che sono a tre livelli diversi.

Un primo livello è quello del “gruppo”. Si fa gruppo. Il gruppo è un insieme di persone che si uniscono per stare insieme, per non sentirsi sole, per condividere qualcosa di comune, che però resta molto a livello epidermico, non va a toccare il profondo delle persone. “Gruppo” può essere detto un insieme di giovani che si ritrovano per motivi ricreativi; o di persone appassionate di calcio, di montagna, di fotografia, di astronomia. A tenere unito il gruppo è un interesse comune condiviso, che però non è così forte da legare le persone a tal punto che nessun motivo riuscirebbe più a slegare una persona dal gruppo. Basta alle volte uno screzio, un malinteso, un torto che uno del gruppo fa ad un altro, perché un membro del gruppo si ritiri ed esca dal gruppo, se ne allontani, e vada in cerca di un altro gruppo.

Un secondo livello in cui la dimensione “sociale” della persona si può esprimere e realizzare è la “comunità”. La comunità è un’aggregazione più solida del gruppo, perché il rapporto e il legame tra le persone di una comunità è più profondo del legame tra i membri di un gruppo. I membri di una comunità condividono e fanno circolare tra di loro realtà personali grandi, profonde, intime: ideali, propositi, difficoltà, successi, timori, gioie, progetti, sconfitte. Sono i cuori a fare comunità; sono gli spiriti ad aprirsi vicendevolmente e a comunicare.

A questo livello, a livello di comunità, l’aspetto e la dimensione fisica è meno determinante che non nel gruppo. Nel gruppo la dimensione fisica è decisiva: se non ci si ritrova fisicamente, non si fa gruppo; invece la dimensione comunitaria può essere vissuta anche, almeno in parte, sebbene non del tutto, slegata dall’incontro fisico. L’incontro fisico favorisce la vita di comunità, e ci dev’essere, almeno di tanto in tanto, ma non ne è in modo assoluto, e continuativo, necessario. In altre parole, si può essere comunità anche se non si vive di continuo fisicamente insieme.

Questo livello di risposta alla dimensione “sociale” della persona è molto appagante, perché va a toccare in profondità l’umano, l’umano-spirituale, che è la dimensione che più ci segna.

Ma questo non è ancora l’ultimo livello, il più alto, dell’esprimersi e del configurarsi della dimensione “sociale” della persona umana. C’è un livello più in su, che possiamo chiamare “comunione”. Il termine è impreciso, in quanto è troppo generico. Infatti anche nel livello “comunità” ci può essere comunione”, ci dev’essere “comunione”. Ma precisiamo, e restringiamo il senso del termine: con questo termine, “comunione”, intendiamo quel legame tra le persone che si instaura tra di esse quando ciascuna cerca Dio, quando ciascuna coltiva ed approfondisce il proprio rapporto e il proprio legame con Dio.

Ci viene in aiuto, a questo riguardo, il Vangelo. Marco racconta che un giorno, mentre Gesù era in una casa e stava insegnando, vennero a trovarlo sua madre Maria ed altri parenti.

Chi era attorno a Gesù gli disse: “Qui fuori ci sono tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle che ti vogliono parlare” E Gesù rispose: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” E guardando le persone che aveva davanti disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3,31-35).

Gesù dava inizio ad una nuova famiglia, ad una realtà in cui le persone fanno la volontà di Dio, e proprio in forza del loro fare la volontà di Dio, instaurano con Gesù e tra loro un legame nuovo, una comunione del tutto particolare e speciale, che non è solo “gruppo”, e nemmeno solo “comunità” fatta di scambio di dimensioni puramente umane, pur buone; ma è una comunione di carattere soprannaturale, in cui il legame viene dal fare la volontà di Dio, in cui l’unione tra le persone si sostanzia di volontà di Dio, di vita in Lui, di Spirito Santo. Questa è la più alta forma di “socialità”, quella a cui siamo chiamati: essere “comunione” in Dio, per quel legame che ci viene da Dio, che Dio stesso pone in noi, e con cui Egli ci lega tra noi.

Questo legame è un legame invisibile, in quanto soprannaturale. Non lo si vede, non lo si tocca sensibilmente, tanto che alle volte non lo si tiene presente alla mente; eppure esso c’è, e se ne colgono gli effetti: una attenzione particolare degli uni verso gli altri, una grande delicatezza nel linguaggio e nel tratto, grande cura dei singoli membri tra di loro, prontezza nel soccorrersi, affetto profondo e sincero scevro da egoismi e pretese.

Questo legame, essendo divino, è forte e a tutta prova. Mentre il legame a livello di comunità è ancora fragile e debole, perché è di tipo umano e naturale, e si basa solo sulle forze dell’uomo, il legame divino, con cui Dio ci lega tra di noi, è forte e inscindibile, perché è forte della Sua forza, è fatto del Suo amore, è fatto di Spirito Santo.

Questo legame si conserva e si irrobustisce in proporzione e nella misura in cui ciascun membro cerca di vivere in Dio e di approfondire la propria vita in Lui. Ci è utile l’immagine della ruota. I raggi di una ruota alla circonferenza sono distanti tra loro, ma quanto più si avvicinano al centro della ruota, al perno, tanto più vengono a trovarsi vicini l’uno all’altro, uniti. È Dio, è Cristo, l’unità tra di noi; la vera unità.

Questo è la Chiesa: popolo di persone legate con legame di Spirito Santo tra di loro, perché legate, ciascuna, a Dio. Ecco dunque il compito dei membri della Chiesa, della grande Chiesa e di ogni “piccola Chiesa” quale è una parrocchia, un gruppo come il nostro di Demamah, ogni famiglia cristiana: crescere nel rapporto con Dio. I mezzi li conosciamo: la Parola di Dio, i Sacramenti, l’aiuto di una guida spirituale, l’aiuto che ci possiamo dare tra di noi, la preghiera, il digiuno, una traccia di cammino spirituale comune.

Siamo chiamati a questa “alta comunione”, che ci lega anima e corpo (anche il corpo, perché siamo anche corpo, Dio ci ha fatti anche “corpo”): ci lega anima e corpo con il legame che viene da Dio.

Tale legame che viene da Dio darà bellezza, contenuto, brillantezza, solidità al livello “comunità”; riscatterà dalla banalità e dalla povertà di senso il livello “gruppo”, facendolo fiorire in qualcosa di molto più grande, più bello e più ricco.

Don Giovanni Unterberger

Questa voce è stata pubblicata in Riflessioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.