16^ domenica dopo Pentecoste

Sandro Botticelli – Nastagio degli onesti-quarto episodio – 1483

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(Ef 3,13-21; Lc 14,1-11)

Domenica 17 settembre 2023, risalente al 28 settembre 2014

È sabato. Gesù ha preso parte alla preghiera in sinagoga, come era solito fare (Lc 4,16), ed ora si trova in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare. Non sappiamo con quale animo quel capo dei farisei l’abbia invitato. Forse per conoscere di più il pensiero di quel rabbì autodidatta, le sue posizioni – per così dire – teologiche, e poterlo accusare; ma forse invece con animo aperto, curioso in senso buono, desideroso di capire e disposto a seguire. Sappiamo dai Vangeli che anche dei farisei divennero discepoli di Gesù, e perfino dei capi di farisei, coma ad esempio Nicodemo (Gv 3,1; 19,39).

Gesù a tavola non è solo; il capo dei farisei ha invitato a pranzo, con Gesù, anche altre persone, farisei suoi amici. Costoro non hanno un animo buono nei confronti di Gesù; sono pronti a criticarlo, a giudicarlo e a condannarlo.

Il Vangelo ce lo lascia capire fin dall’inizio, usando un verbo particolare. Il testo dice: “Un sabato Gesù entrò in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano ad osservarlo”. Quello “stavano ad osservarlo” nel testo greco di Luca, è il verbo “parateréo”, che significa “stare vicino a una persona per spiarla, per sorvegliarla”. “Parateréo” può significare anche “stare vicino a una persona per custodirla, per difenderla”, ma questo non è il senso di “parateréo” qui; i farisei in genere non avevano un animo aperto e bendisposto nei confronti di Gesù; e non lo avevano, nella fattispecie, i farisei di quel giorno invitati a pranzo con Gesù.

Infatti alla domanda di Gesù, dopo la guarigione dell’idropico: “È lecito o no guarire di sabato?”, essi – dice il Vangelo – non risposero nulla, tacquero. Quel loro silenzio, imbarazzato, era di disapprovazione, di condanna: “Non si può guarire un idropico di sabato; la legge di Mosè non lo permette”. Così pure alla successiva domanda, incalzante, di Gesù: “Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?”, i farisei “non potevano rispondere nulla a queste parole”, nota il Vangelo. I farisei non trovarono obiezioni valide da opporre alla domanda di Gesù e alla guarigione da lui appena operata, ma come avrebbero voluto contestargli quanto diceva e aveva compiuto, sbattendogli in faccia la legge di Mosè!

Lo sguardo dei farisei su Gesù non era uno sguardo buono.

Il “parateréo” di questo Vangelo ci interpella; ci interpella sul nostro “sguardo”. Com’è il nostro sguardo sulle persone? Come guardiamo ad esse? Il nostro “parateréo” è uno sguardo di chi “spia” le persone, di chi le guarda con occhio malevolo, con occhio di critica, pronto a cogliere i limiti, i difetti, le mancanze, le colpe dei fratelli? O il nostro “parateréo” è uno sguardo di chi guarda per custodire, per capire, per compatire, per sostenere e aiutare, per correggere con bontà e mitezza?

Quanto è importante lo “sguardo”! Tutti ci “guardiamo”, e tutti ci sentiamo “guardati”. Come sentiamo bisogno di essere “guardati” con bontà, con un “parateréo” tenero, positivo, nonostante i nostri limiti e difetti! Anche i nostri fratelli avvertono questo stesso bisogno; anch’essi hanno bisogno di un “parateréo”, di uno “sguardo”, di tenerezza.

Il brano di Vangelo di oggi non ci parla dello “sguardo” di Gesù. Ma dai Vangeli noi lo conosciamo bene: è “sguardo” di bontà, di comprensione, di compassione, di misericordia, di perdono, d’incoraggiamento, di fiducia, di speranza, di avvertimento, di correzione ferma e mite insieme. La gente si sentiva “guardata” da Gesù così, e lo seguiva, si convertiva. Guardiamoci anche noi, tra di noi, con lo sguardo di Gesù.

“Gesù, come guardi tu quella persona, così la guardo anch’io. Voglio guardarla come la guardi tu. Dammi il tuo sguardo”.

don Giovanni Unterberger

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