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(At 9,26-31; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8)
sabato 27 aprile, risalente al 2 maggio 2015
Nei due anni e mezzo, forse tre, di vita pubblica Gesù disse ed insegnò tante cose. La gente lo ascoltava volentieri, ne era affascinata. I Vangeli hanno raccolto parte del suo insegnamento, non tutto; ci hanno trasmesso ciò che Dio, nella sua sapienza, ha pensato necessario e sufficiente per la nostra conoscenza di lui e per la nostra salvezza.
La pagina della vite e i tralci, che abbiamo ora ascoltato, è uno dei momenti più alti e più decisivi dell’insegnamento e della predicazione di Gesù; è come se Gesù dicesse: “Apostoli miei, discepoli miei, voi gente tutta che mi avete ascoltato e che mi avete sentito dire tante cose…, ecco, ora facciamo il punto di tutto quello che vi ho detto: “Io sono la vite, voi i tralci; voi siete i miei tralci, e io sono la vostra vite. Può, secondo voi, un tralcio vivere staccato dalla vite? Forse che un tralcio così, staccato dalla vite, non si secca e non muore? Ecco, se voi vivete staccati da me, morirete, perché sono io la vostra vite; solo se starete uniti a me, innestati in me, voi avrete vita e porterete frutto, perché la vostra vite, che vi dà linfa, sono io”.
Era una prospettiva, questa che Gesù metteva davanti a sintesi e come essenza del suo insegnamento, che la gente non si aspettava. Abituata com’era ad una religiosità fatta di norme e di leggi da osservare, di comportamenti da tenere (questo era l’impianto e l’impostazione della religiosità ebraica proposto dai farisei), la gente era portata a pensare che anche la religiosità di Gesù fosse di questo tipo e si muovesse sullo stesso registro: fosse una serie di comportamenti da osservare; comportamenti sia pure diversi da quelli indicati e richiesti dai farisei, ma, pur sempre, comportamenti da osservare.
Invece Gesù dà una sterzata decisiva: dalle norme riporta tutto alla sua persona. La religione vera, la religiosità autentica è lui, è il legame con lui; il legame del tralcio con la vite. “Rimanete in me e io in voi”, dice Gesù. Non dice: “Osservate queste e queste norme”, dice: “Rimanete in me e io in voi”. E’ nell’unione del fedele con lui, con Gesù, che il fedele vive la vita vera, la religione vera, conosce Dio, sperimenta Dio, porta frutti.
I frutti sono le opere buone, sono le norme e le leggi osservate, sono i comportamenti santi vissuti, ma queste cose, queste realtà sono appunto “frutti”, sono la conseguenza, il corollario, il risultato dell’unione con Gesù. E’ Gesù stesso che matura nell’animo e nella vita del fedele questi frutti; il fedele non sarebbe capace da sé, pur con tutta la sua buona volontà e con tutto il suo sforzo, di portarli e di produrli, perché “senza di me non potete fare nulla”, afferma perentoriamente Gesù! Affermazione che non ci è molto simpatica e che non piace affatto al nostro “io” orgoglioso e superbo; eppure è la realtà; questa è la realtà vera: senza di lui, senza Gesù, non siamo capaci di nessuna opera buona, non siamo capaci di nessun bene.
Non arriva a segno una spiritualità impostata sullo sforzo volontaristico di acquistare le virtù. Quanti propositi e quanti tentativi di acquistare la pazienza, l’umiltà, la castità, la carità abbiamo fatto nella vita, e quante cadute, quante continue cadute! Serve di più puntare tutte le batterie spirituali e tutto lo sforzo e l’impegno nello stare uniti a Gesù, nel non perdere il contatto con lui, nel tenere viva nella nostra mente e nel nostro cuore la memoria di lui; di lui vivo, di lui presente, di lui risorto e operante in noi; di lui nostra vite.
Allora la linfa di lui vite arriverà e scorrerà in noi tralci; e a noi verrà data la pazienza, l’umiltà, la castità, la carità di Gesù; ogni sua virtù! Tutto “lui” fluirà in noi, e noi porteremo frutto! E così sarà glorificato il Padre nostro celeste, che riceve gloria proprio -ci ha detto Gesù- dal nostro portare frutto.
Ma abbiamo bisogno di Spirito Santo; di Spirito Santo che con la sua forza, col suo vigore e col suo calore irrobustisca e renda saldo il nostro punto di innesto di noi tralci in Gesù vite. Tale punto d’innesto è tanto fragile e delicato. E’ sufficiente talvolta una preoccupazione, un malessere, o anche un gioia, un successo, o una tentazione più forte di sempre, o un impegno che ci assorbe, per dimenticarci di Gesù, per perdere il contatto con lui, perché il tralcio si stacchi dalla vite.
Abbiamo bisogno dello Spirito Santo che ci tenga uniti a Gesù; questo è il suo compito specifico; e questa sia allora la nostra preghiera: “Spirito Santo, tienimi unito a Gesù; fa’ che io non mi distacchi mai la lui; fa’ che il “tralcio” e la “vite” siano una cosa sola, perché io possa vivere e non seccare; perché io possa essere fecondo e portare frutto”.
E a questa preghiera uniremo lo sforzo di vivere più raccolti, meno dissipati, non dispersi in tante cose, non troppo fuori di noi, alla ricerca e alla rincorsa di ogni novità, per essere più incentrati e stabiliti nella nostra vite, Cristo Gesù.
don Giovanni Unterberger