Spirito Prattico 2014 – Vizi e Virtù

Spirito prattico

Nella formazione spirituale dei primi secoli della Chiesa, soprattutto tra i monaci del deserto, il combattimento con le pulsioni umane legate alla concupiscenza occupava un posto di grande rilievo. Praktikos è il titolo di un trattato scritto da uno di questi monaci, Evagrio Pontico, come guida per affrontare questo combattimento nella vita quotidiana.

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La sofferenza e il travaglio interiore ed esteriore provocati da queste pulsioni anche nell’età attuale non sono diversi da quelli di duemila anni fa, in qualsiasi condizione di vita ci si trovi a vivere.

Il combattimento non avviene però a mani nude, perché l’uomo dispone di un grande arsenale di armi con cui assicurarsi la vittoria sugli impulsi distruttivi: sono le Virtù, alleate potentissime e invincibili.

Nella concretezza della vita abbiamo continue occasioni per misurarci con i nostri vizi e difetti, e per mettere a frutto le virtù. È necessario un lento e progressivo lavoro di osservazione, conoscenza e dominio di sé, il cui fine non è un’ascesi superba, ma la pace, la gioia e l’amorevolezza che riempie la vita di chi ha scelto di percorrere questo cammino di liberazione da se stesso.

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Alle giornate di Spirito Prattico possono partecipare persone di tutte le età e fedi religiose, credenti o non credenti, che desiderino crescere umanamente e spiritualmente attraverso esperienze pratiche e momenti di riflessione che prendono spunto dai piccoli eventi della vita quotidiana.

Tutte le giornate si svolgono presso la Sede sociale in Via Statagn, 7 a Santa Giustina (BL), con inizio alle ore 10.00 e conclusione alle ore 18.00.

Durante ogni giornata si condividerà il momento del pranzo e, nei momenti di pausa – per chi lo desidera – il canto dell’Ufficio Divino secondo la tradizione monastica benedettina.

Qui è possibile trovare maggiori informazioni e il modulo per l’iscrizione per una o più giornate, oppure contattare la segreteria.

 Gli incontri svolti:

25   ottobre: La superbia e l’umiltà

Non v’è tiranno crudele quanto la superbia, e non v’è prigione più angusta e coercitiva delle sue continue e pressanti richieste.

Perennemente protesa al ‘super-super-super’, la superbia sorpassa l’esistenza in una corsa contro se stessi.

Alternando i suoi giudizi tra ‘superbravo’ e ‘supernulla’, la superbia è sempre pronta a fare confronti, e invariabilmente a concludere che “come me non c’è nessuno”, gloriandosi della propria ricchezza tanto quanto della propria miseria.

Orgoglio e disprezzo ne sono fedelissimi figli.

Esaltando o annichilendo l’Io, la superbia arriva a cancellare Dio, e il superbo rimane solo, sempre più solo, disperatamente solo.

L’umiltà profuma di terra, di humus e di bosco; profuma di uomo, di umano e di buonumore.

L’umiltà vede il bene negli altri prima che in se stessa, e quando lo vede in sé gioisce per i grandi doni ricevuti.

L’umiltà è sempre contenta di ciò che riceve e apprezza ogni cosa, ringraziando per tutto, perfino per il male ricevuto.

L’umiltà è calma, non ha fretta, è priva di ambizioni e tutti le appaiono fratelli da cui imparare.

L’umiltà ama l’umanità dell’amore di Dio.

 

20   settembre: La vanagloria e la mitezza

“Guardami, ammirami, lodami, adulami, compiacimi”, dice la vanagloria.

Ma dice anche: “compatiscimi, compiangimi, commiserami”.

Tutto va bene, purchè gli altri si accorgano di me, io acquisti attenzione e salga agli onori della considerazione altrui. E, ovviamente, anche della mia.

La vanagloria non è mai sazia, vede concorrenti ovunque, borbotta di continuo nei pensieri le mie mirabolanti qualità e come tutti le riconoscano infallibilmente, e sempre instancabilmente scruta con la coda dell’occhio quanti le stanno intorno, ossessionata dal timore di essere dimenticata e finire nel nulla. Scacciare la vanagloria con le proprie mani è impossibile: ogni vittoria su essa si trasforma in occasione di altra vanagloria…

La mitezza è la sorella maggiore dell’umiltà.

La mitezza guarda agli altri con bontà e comprensione; è sempre pronta a scusare e a giustificare. La mitezza vede nelle altre persone degli esseri da amare, e non li ama per i loro meriti, ma per il loro essere fratelli; non s’interessa alle lodi, né alle offese; non tiene la contabilità delle attenzioni ricevute e non brama riceverne; è felice di ciò che è e desidera che tutti lo siano; tutto sopporta e nulla cerca per sé.

La mitezza vede la realtà così come essa è.

E guarisce la vanagloria dalle sue false e abbaglianti vanità.

 

9 Agosto: L’accidia e l’obbedienza

 

“Oggi non posso, lo farò domani; ora non ne ho voglia, lo farò dopo; è troppo tardi per fare quella cosa; è troppo presto per occuparmi di quell’altra; non ne vale la pena; forse ho sbagliato tutto; non sono sicuro; è troppo faticoso; non è adatto a me; c’è troppo poco tempo per portare a termine; può darsi che non sia questa la mia strada…”

 

Meglio sedersi, aspettare, riflettere, anche meditare, attendere il momento giusto, intanto sonnecchiare un po’, la notte porta consiglio, sperare in un cambiamento, valutare il da farsi, ponderare, riposarsi, chiarirsi le idee…

 

Il ‘demonio meridiano’ colpisce a mezzogiorno; di ogni giorno e della vita. Quarantenni, attenti!, il tempo si è fatto breve; per i cinquantenni è brevissimo, e per i sessantenni è ormai defunto.

 

Santa obbedienza, dove sei? Ho tanto bisogno che tu mi liberi da questo demone maledetto che trasforma le mie giornate in una giostra che gira, gira, gira e resta sempre ferma.

 

Santa obbedienza, mostrami quanto semplice è obbedire, e quanto semplifica la vita, e quanta pace dà al mio cuore, e quanta gioia spande all’intorno, e quanta leggerezza dona al lavoro, e quanto soavi divengono il tempo, lo spazio, gli amici, i colleghi, i superiori, gli allievi. E Dio.

7   giugno: La tristezza e la gioia

Esistono una tristezza sana e una tristezza malata.

La prima fa rima con dolcezza, la seconda con amarezza.

La tristezza amara riempie gli occhi di lacrime che non riescono a sgorgare; ammorba l’anima, la rende densa e pesante; incupisce il pensiero, annebbia la mente, imputridisce il cuore.

La tristezza amara separa da tutto e da tutti, alla fine separa anche da se stessi.

La gioia è virtù nascosta in ogni nostra cellula; dove c’è vita c’è gioia di vivere.

La gioia non è una virtù ‘di moda’; ‘di moda’ è la cultura del lamento.

Scovare e risvegliare la gioia che ci tiene in vita richiede volontà e tenacia, ma piccole gocce di gioia illuminano d’immenso un’intera esistenza.

12   aprile: L’ira e la compassione

Nessuna tentazione è onnipresente e capillarmente diffusa nell’animo umano quanto l’ira.

…E non ce ne accorgiamo…

…E impercettibilmente, dal fastidio provocato da una zanzara – se prontamente non combattuto – veniamo condotti ad irritarci, arrabbiarci e scagliarci incolleriti contro immaginari leoni e belve feroci che ci assalgono e vogliono la nostra rovina e morte.

Nessuna tentazione ci priva della possibilità di amare e lasciarci amare, quanto l’ira.

Nessuna virtù ci libera dall’ira e ci restituisce l’amore, quanto la compassione.

La compassione non s’improvvisa; nella compassione ci si educa.

Mille sono le occasioni di crescere nella compassione nella vita quotidiana, minuscole come lucciole, luminose come lucciole.

Accendono le tenebre; spengono l’ira; regalano l’amore e la gioia.

15   marzo: L’avarizia e la povertà

Avere, trattenere, accumulare, accaparrare, bramare, possedere, arraffare.

Beni materiali o spirituali, non importa.

Per l’avaro il pieno non è mai abbastanza pieno, e il vuoto è sempre troppo vuoto.

L’avarizia s’insinua subdolamente in comportamenti e atteggiamenti virtuosi quali il risparmiare, l’amministrare e l’essere previdenti.

Ammettere l’avarizia è fonte d’indicibile vergogna, perché essa è fortificata nella psiche e nell’anima da apparenze oneste e rispettabili, che ‘proteggono’ la persona dal ‘pericolo di morire’.

Scegliere la povertà è scegliere la libertà.

La povertà scelta è virtù che libera da ogni paura.

La povertà è una roccia salda e forte che dona fiducia e speranza.

La povertà svuota e apre il cuore, la mente, l’anima e lo spirito alla vita, al mondo, all’amore, a Dio.

8   febbraio:  La lussuria e la castità

C’è un piacere del corpo che lo rende vitale, leggero, sottile, morbido, accogliente, aperto alla vita, a Dio e agli altri esseri umani.

C’è invece un piacere del corpo che ne ispessisce i confini, che ne spegne la vita, che ne indurisce la materia, irrigidendola e chiudendola a qualsiasi essere e natura che non sia se stesso.

La lussuria spinge in tutti i modi sul corpo per sottometterlo al suo sfrenato desiderio di appagamento delle pulsioni e di possesso dell’altro.

La lussuria che non trova soddisfacimento nel corpo attacca lo spirito rendendolo morbosamente avido di consolazioni, grazie soprannaturali, doni spirituali e visioni beatifiche; oppure attacca il corpo stesso mortificandolo oltre ogni limite, con il solo fine di provare piacere – anche fisico – dalle proprie vittorie su di esso.

Castità è un rapporto con il corpo e con lo spirito che nulla pretende da essi; castità è amare il corpo e lo spirito con quella purezza di cuore che nulla desidera in maniera esclusiva per sè e nulla attende dall’altro; castità è liberazione del corpo e dello spirito dalla brama di possesso; castità è liberazione dalla paura di perdere se stessi.

11   gennaio: L’ingordigia e la temperanza

La gola, il piacere del cibo e della tavola; il desiderio smisurato di mangiare e di ingollare qualsiasi cosa in grado di solleticare e appagare la lingua e il palato; l’incapacità di trattenersi di fronte alla possibilità di mettere qualcosa in bocca, indipendentemente dalla fame.

Come accade che un bisogno così vitale possa trasformarsi in un nemico per l’esistenza? Quali sono la misura, il tempo, il ritmo e la qualità del mangiare e del bere che ci nutrono di Bene, nel corpo e nello spirito, e ci avvicinano a Dio?

L’ingordigia non ci assale solo di fronte al cibo materiale, ma ci tenta anche sul piano spirituale. Anche spiritualmente possiamo non essere mai sazi, bramosi di cibi sempre nuovi, di cibi sempre più raffinati, ingozzandoci di ‘buoni pensieri’ e passando dall’uno all’altro senza nemmeno più sentirne il gusto. L’indigestione spirituale non è meno pericolosa di quella materiale, ed è molto più subdola e nascosta, ammantandosi di false devozioni ed elevazioni dell’anima.

La temperanza è la virtù del fare ogni cosa con la giusta misura. Essa nasce dal discernere in ogni momento quali sono le voci che mi attirano verso Dio e quelle che me ne vorrebbero allontanare. La temperanza ci rende forti; la temperanza richiede decisione morale.

La Temperanza è una signora in perfetto equilibrio su una lama sottilissima, sulla quale è seduta con disinvoltura, padronanza, maestria e maestà.