20° Domenica del Tempo ordinario 2017 (forma ordinaria)

(Is 56, 1.6-7;   Rm 11,13-15.29-32;   Mt 15,21-28)

Duomo di Belluno, sabato 19 agosto 2017

La fede della cananea fu davvero formidabile. Alla richiesta della donna di liberarle la figlia dal demonio, Gesù non prestò alcuna attenzione; la ignorò. Ma lei, allora, gli si fece innanzi e gli si gettò ai piedi: “Signore, aiutami!”. Gesù le disse: “Non è bene gettare il pane dei figli ai cagnolini”; e lei pronta: “Ma anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei padroni”.  “Donna, la tua fede è grande! -le disse Gesù- avvenga per te come desideri”, e la esaudì. Una fede così ci è necessaria: una fede forte, perseverante, fiduciosa, che non si scoraggia e che continua a chiedere; come fu la fede della cananea.

Per oggi sarebbe sufficiente questo insegnamento offertoci dal Vangelo che abbiamo ascoltato, ma non può non colpire un altro particolare dell’episodio: il comportamento di Gesù. Perché mai Gesù avrà opposto tanta resistenza alla preghiera della cananea? Non certo perché non volesse esaudire e dare salvezza a una pagana. Gesù era aperto ai pagani: liberò da Satana l’indemoniato di Gèrasa, che era un pagano (cfr Mc 5,1-20); guarì il sordomuto, abitante della Decàpoli, che era un pagano (cfr Mc 7,31-37); guarì il servo del centurione di Cafarnao, che era un pagano (cfr Mt8,5-13). Gesù si sentiva il salvatore di tutti, e con la guarigione di persone pagane voleva insegnare ai suoi discepoli che la sua missione era una missione di salvezza universale, rivolta a tutti, e non soltanto al popolo di Israele.  Prima di salire al cielo, infatti, Gesù dirà agli apostoli: “Andate in tutto il mondo e ammaestrate tutte le genti” (Mt 28,19).

Ma perché, allora, tanta resistenza alla preghiera della cananea? Possiamo pensare, come molti studiosi e molti commentatori di questo Vangelo hanno ritenuto, che Gesù in questo modo volesse mettere alla prova la fede di quella donna. Può essere. Ma c’è un significato ulteriore, profondo, e altamente provocatorio per l’Israele di allora, e per noi, nell’atteggiamento di Gesù.

La sua iniziale noncuranza per la richiesta della cananea, le sue parole: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele”, e le altre parole: “Non è bene prendere il pane dei figli (gli ebrei) e gettarlo ai cagnolini”, cioè ai pagani (gli ebrei chiamavano i pagani ‘cani’), tendevano a far prendere coscienza al popolo di Israele del grande privilegio, del dono che gli era offerto con l’avvento, la presenza e la predicazione del Messia. Israele aveva il Signore, Dio stesso, in mezzo a sé; poteva godere del suo messaggio, della sua opera di salvezza, del perdono dei peccati, della rivelazione della verità tutta intera. A lui, Israele, principalmente, il Messia era stato inviato.

A Gesù stava immensamente a cuore che Israele si rendesse conto di quanto straordinario fosse il momento di grazia che stava vivendo, e non si chiudesse ad esso. Gesù desiderava immensamente che Israele si facesse cosciente della sua elezione antica, in Abramo, che ora si andava compiendo in lui, l’inviato del Padre. Purtroppo Gesù arrivò a piangere per la chiusura di Israele alla salvezza. “Quando fu vicino alla città -ci dice il Vangelo- Gesù pianse su di essa, dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace! Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno in cui non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sedi stata visitata” (Lc 19,41-44).

La provocazione per noi è chiara. Ci domandiamo: come vive oggi la cristianità il dono e il privilegio di conoscere Cristo, di godere di tanti mezzi di salvezza? di avere in Gesù “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); di poter godere di una fede che ci illumina l’esistenza, questa esistenza e quella futura? Fanno tesoro i cristiani, facciamo tesoro noi, a sufficienza, dell’Eucaristia, della Parola di Dio, dell’abitazione dello Spirito Santo in noi, della preghiera, del magistero della Chiesa?  Cristo è davvero il centro del cuore, la ‘perla preziosa’, il ‘tesoro nascosto’ (Mt 13,44-45)? Abbiamo  noi la consapevolezza che nulla è più di lui, e che non ci potrà essere dato nulla di più grande di lui?

don Giovanni Unterberger

 

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