3^ domenica dopo Pasqua (forma straordinaria)

Albrecht Dürer – Adorazione della Santissima Trinità – 1511

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(1 Pt 2,11-19;   Gv 16,16-22)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 12 maggio 2019

Quella sera, nel cenacolo, l’atmosfera s’era fatta pesante. Gesù aveva appena svelato che uno dei suoi lo avrebbe tradito, e l’animo degli apostoli era sconvolto. Come se non bastasse, Gesù annunciava loro che a breve li avrebbe lasciati: “ancora un poco e non mi vedrete”. Sì, è vero, egli aggiungeva: “un poco ancora e mi vedrete”; ma quell’“ancora un poco e non mi vedrete” scendeva come una lama nel loro cuore e li faceva soffrire. Non avrebbero mai voluto che Gesù scomparisse dal loro sguardo, sottraesse loro la sua presenza, li lasciasse soli, sia pure per breve tempo. Avevano troppo bisogno di lui! Gesù sarebbe morto, ma poi risorto.

Le parole del Signore: “Ancora un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete” possono indicare bene anche la nostra esperienza spirituale, il nostro cammino nelle giornate e nella vita. Gesù appare e scompare; fa sentire la sua presenza e in altri momenti sembra lasciarci soli; si alternano in noi istanti belli con lui, istanti di consolazione, e istanti di desolazione. Occorre farci forti e portare con coraggio, con fiducia e con fede i momenti -alle volte i periodi- di aridità spirituale e di pesantezza della vita; ricordando che essi non sono per sempre; ricordando la promessa di Gesù: “un poco ancora e mi vedrete”; promessa a cui egli rimane fedele. Egli non ci lascerà senza gioia. Ogni sua assenza sarà colmata da una sua più viva e più dolce presenza.

Ma Gesù potrebbe, amorevolmente e con bontà, ribaltare in qualche modo le sue parole, e dire a noi: “Un po’ ti vedo e un po’ non ti vedo; un po’ sei con me e un po’ non lo sei; ti perdi facilmente e poi torni; torni e poi ti perdi ancora… un’altalena”. Dobbiamo riconoscere tanta incostanza nella nostra vita, nel rapporto col Signore; un rapporto che è a intermittenza. Un rapporto che ha bisogno di stabilità e di fissarsi di più in colui che è il Signore, in colui che è la Vita, in colui che è il Bene, la fonte di ogni bene.

Giova a ciò crescere nella coscienza di un’appartenenza. Noi gli apparteniamo; non siamo senza di lui. Gi apparteniamo come un fiume alla sorgente, come un albero alla sua radice, come un feto al grembo della madre. “Non sapete che non appartenete a voi stessi? -dice san Paolo- Siete stati comprati a caro prezzo” (1Cor 6,19). Non solo apparteniamo al Signore in quanto creati da lui e continuamente conservati nell’esistenza da lui; ma anche in quanto redenti, riscattati, ‘comprati’ da lui -dice l’apostolo- e ‘a caro prezzo’, a prezzo della croce.

Senso di appartenenza… Abbiamo noi questo senso di appartenenza a Dio? l’abbiamo forte? La cosa più sbagliata, più irragionevole e assurda è proprio il concepirsi autonomi, indipendenti da Dio. E’ la menzogna assoluta, ed è la causa di tanto male, di tanta infelicità e di tanti errori. Noi gli apparteniamo.

Approfondiamo e rendiamo certa al nostro spirito questa consapevolezza; essa ci aiuterà a stabilirci sempre più in Dio, e a vivere nella pazienza e nell’attesa fiduciosa di lui anche i momenti di buio e di aridità interiore che potessimo avere.

don Giovanni Unterberger

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