6^ domenica di Pasqua (forma ordinaria)

Moretto – Pentecoste – 1543-1544

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(At 15,1-2. 22-29  ;  Ap 21,10-14. 22-23  ;  Gv 14,23-29)

Duomo di Belluno, 26 maggio 2019

Un’esperienza toccante e spiritualmente utile è quella di prendersi un’ora di tempo e leggere, con lettura continuata, i capitoli da 13 a 17 del Vangelo di Giovanni, dai quali è tolto il brano evangelico che abbiamo ora sentito proclamare. Quei capitoli riportano quanto Gesù disse agli apostoli nel corso dell’ultima cena, poche ore prima di patire e morire. Sono il suo testamento spirituale.

Tutti noi, forse esclusi i più giovani, abbiamo esperienza della grande trepidazione, commozione, rispetto e riverenza con cui il testamento di una persona cara, di un familiare, viene aperto e letto. Quei capitoli sono il testamento di Gesù, il nostro Salvatore e Redentore, colui che ci ha amati fino a morire in croce per noi. Vi troveremo cose straordinarie, parole commoventi, promesse confortanti, perle preziose da conservare.

Soprattutto vi respireremo un particolare clima, un clima di grande intimità: Gesù quella sera parlò ai suoi apostoli come non aveva mai parlato prima; parlò, quella sera, come un fiume in piena; col cuore che traboccava di affetto e di amore; desideroso di dire tutto ciò che voleva dire e comunicare ai suoi, prima di morire; in un tono di profonda e grande intimità.

“Vi ho chiamati amici -disse- voi siete miei amici. Non vi lacerò orfani, tornerò da voi. Come il Padre vuole bene a me, così io voglio bene a voi. Vi manderò lo Spirito Santo che vi difenderà e vi spiegherà tutto; rimante uniti a me, e porterete molto frutto; rimanete in me, così che io possa rimanere in voi; rimanete nel mio amore, nell’amore che io vi porto, così che io e il Padre possiamo venire a voi e fare di voi la nostra casa, la nostra dimora. Vi do la mia pace; vi do la mia gioia”. Gesù si piegò, quella sera, fino a terra a lavare i piedi agli apostoli.

L’intimità di quella sera non doveva restare chiusa e confinata in quella sera: Gesù vuole essere intimo a ciascuno dei suoi discepoli, lungo tutti i tempi e lungo tutti i secoli. Santa Teresa d’Avila stava percorrendo un corridoio del suo monastero e in un impeto d’amore per il Signore le venne da dire: Io sono Teresa di Gesù”; e si sentì rispondere: “E io sono Gesù di Teresa”.

Gabrielle Bossis, donna francese vissuta dal 1874 al 1950, negli ultimi quattordici anni di vita fece esperienza di una grande intimità col Signore. Un giorno si sentì dire da lui: “Togliamo il pregiudizio che l’intimità dell’anima sia possibile solo per il religioso nel suo chiostro, mentre il mio amore segreto e tenero è in realtà per ogni anima vivente in questo mondo”. Gabrielle cominciò a scrivere un diario in cui notò quanto Gesù le suggeriva nei momenti più vari e più comuni della giornata. Un giorno che in una stazione stava aspettando il treno e fissava lo sguardo nella direzione in cui doveva arrivare, si sentì dire: “Tu tieni lo sguardo fisso alla direzione del treno che deve venire. Allo stesso modo i miei occhi sono fissi su di te, nell’attesa che tu venga a me”. Un giorno Gabrielle stava aggiustando i suoi guanti e le sembrava che ciò che andava facendo non avesse alcun valore per il regno di Dio, e Gesù le disse: “Quando piallavo legna, forse che questo non contava per salvare il mondo?”. Una volta che in tram stava dicendo meccanicamente delle preghiere guardando passanti e negozi, si sentì dire: “Se fossi semplicemente un uomo, ti domanderei: Mi stai prendendo in giro?”. Durante un’ora di adorazione Gesù le disse: “Sin dal tuo risveglio al mattino domandami delle anime. Richiedimi dei peccatori. Mi farai tanto piacere… non puoi sapere quanto! Sono morto per loro. Sono morto senza essere malato, ma pieno di vita. Sono morto a furia di essere abbattuto. Aiutami a salvare anime. Salvale come se fossi io quello da salvare”.

L’esperienza interiore di Gabrielle Bossis è raccolta nel libro dal titolo ‘Lui e io’, edito dalla casa editrice Marietti; un libro utilissimo per un progresso nella vita spirituale, per la crescita nell’intimità col Signore, con la persona di Gesù. E’ infatti a una vita di intimità con lui che siamo chiamati, e non a una vita di basso profilo.

don Giovanni Unterberger

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