17^ domenica dopo Pentecoste

Artemisia Gentileschi – Davide e Golia – 1639

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(Ef 4,1-6;  Mt 22, 34-46)

Domenica 19 settembre, risalente al 23 settembre 2012

Gesù è chiaro. Il grande comandamento, il più grande comandamento, è l’amore, è amare. Gesù fissa anche la gerarchia dell’amore, e del comandamento; indica da quale amore iniziare e partire; dice: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso”.

San Giovanni dirà che se non si ama il prossimo non si può dire di amare Dio (1Gv 4,20-21), perché Dio vuole che noi ci amiamo tra di noi; ma il primo da amare è Dio, è lui il primo a cui dare il nostro amore.

L’amore fa l’unità. San Paolo, nel brano della lettera agli Efesini che abbiamo ascoltato, per ben sette volte ribadisce e rimarca l’unità. Per sette volte ripete “un solo”, “una sola”. Dice: “un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio”. Tutto deve diventare “uno solo”; tutto deve diventare “unità”.

Questo è il disegno di Dio sull’umanità, e questa è la vocazione di ciascuno di noi. Siamo chiamati all’unità; si sta bene solo nell’unità; si è nella pace, nel benessere e nella vita solo nell’unità.

Una unità che non è uniformità, non è unificazione di uguali (che noia sarebbe!), ma è comunione di diversi, comunione di differenze armonizzate insieme, accoglientesi reciprocamente nell’amore.

Il male più grande che può intaccare l’umanità, e i nostri stessi rapporti interpersonali, è la divisione. Nella divisione c’è morte, c’è sofferenza, c’è dolore. Lo vediamo attorno a noi, e non è necessario che guardiamo attorno a noi, lo sperimentiamo in noi stessi, in prima persona.

Diciamo tre cose importanti circa l’unità. La prima: occorre fare innanzitutto “unità” dentro di noi. Uno spirito diviso in se stesso, un mondo interiore non pacificato in cui continuamente si contrastano spinte e controspinte, in quanto il male non si lascia vincere e piegare dal bene, e di continuo si fa vivo sotto forma di egoismo, di ricerca di sé, di autoaffermazione, di ricerca del proprio piacere e soddisfacimento personale, non può portare unità. Un cuore in se stesso diviso non può portare unità. Occorre che il nostro cuore diventi “uno”, diventi tutto buono, tutto riempito e ripieno di bene.

Quanto importante è questo lavoro su di sé, sul proprio cuore! Istintivamente siamo portati ad impegnarci a migliorare i rapporti proiettandoci fuori di noi, nel tentativo di migliorare la relazione in se stessa, dimenticando che l’unica strada per migliorare davvero la relazione e creare unità è rendere “uno”, nel bene, il nostro cuore. Un cuore “tutto bene” porta unità.

La seconda cosa che è importante ricordare circa l’unità è che essa va costruita nella verità. Non c’è vera unità fuori della verità. Fuori della verità, fuori di ciò che è vero e giusto, c’è solo connivenza, pseudo-unità, non vera unità. Occorre fare molta attenzione a questa questione, perché potrebbe facilmente accadere che chi è nell’errore, nello sbaglio, nel male, sia consapevolmente che inconsapevolmente, pretenda e chieda, per desiderio di unità, di trascinare l’altra parte nel proprio errore, nella propria posizione sbagliata. E non creerebbe così vera unità. Due cuori, i cuori e le menti degli uomini possono essere e diventare davvero “uno” solo nella verità, in ciò che è giusto e bene, perché per il giusto e per il bene siamo fatti tutti, e solo nel giusto e nel bene, nella verità, ci si può incontrare davvero, ci si può ritrovare in una unità autentica e vera, salda e incrollabile.

La terza cosa che è importante ricordare circa l’unità è che essa non è realizzabile da noi senza l’aiuto di Dio. Solo Dio può farci uniti tra noi. Nel libro del profeta Ezechiele Dio dice ad Ezechiele: prendi in mano due bastoni, uno che simboleggi il regno di Israele del nord e uno che simboleggi il regno di Israele del sud; i due regni sono tra loro divisi, ma nella tua mano quei due bastoni, e, nel simbolo, quei due regni, troveranno unità. Così farò io – dice il Signore – : prenderò nella mia mano il regno di Israele del nord e il regno di Israele del sud e nella mia mano diventeranno uniti tra di loro. Io li unirò (Ez 37,15-22). È Dio che ci unisce. È Dio che ci fa “uno”. Solo nella sua mano noi potremo essere uniti tra di noi; solo se ci lasceremo prendere in mano da lui, e lavorare e trasformare da lui, noi potremo essere uniti tra di noi.

Ecco che allora torna quanto dicevamo all’inizio, o meglio, quello che Gesù ci ha detto, e cioè che il primo comandamento è quello di amare Dio, e che la prima “unità” da cercare è quella con lui, perché è lui che potrà aiutarci a compiere  il lavoro di rendere il nostro cuore buono, “uno” nel bene, e non “diviso”, così da essere capace di unità; ed è lui, Dio, che può mantenerci nella verità e farci avanzare sempre di più in essa, così che la nostra unità sia autentica e vera.

Abbiamo bisogno di Dio. Abbiamo bisogno di Dio per la nostra unità.

don Giovanni Unterberger

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