4° Domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

(Rm 8,18-23;   Lc 5,1-11)

Belluno, chiesa di s. Stefano, 21 giugno 2015

Una decina di anni fa, nel chiostro gotico del nostro Seminario, fu allestita una mostra sulla figura dell’apostolo Pietro: trenta pannelli che ne illustravano la personalità, l’opera e la missione. Fui impiegato anch’io nell’accompagnare i visitatori lungo la mostra e nell’illustrarla.

Mi accadde un giorno che dopo aver guidato una visita, una signora del gruppo tornasse, nel giro di mezz’ora, con un vaso di fiori, e lo deponesse davanti al pannello che raffigurava l’episodio del Vangelo che abbiamo ora ascoltato: l’episodio della pesca miracolosa. Le chiesi: “Signora, come mai questo gesto? perché questo vaso di fiori?” Ed ella mi rispose: “Sono rimasta colpita dall’umiltà dell’apostolo Pietro che disse a Gesù: ‘Allontanati da me che sono un peccatore’, e dalla risposta di Gesù che di rimando gli disse: ‘Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini’. Sono io quel ‘Pietro’ che non sono degna di stare vicina al Signore; e mi ha commossa Gesù che anche a me dice: ‘Non avere paura; io ti tengo vicina a me e ti do qualcosa di buono da fare nella vita’. Mi ha tanto commossa questa cosa, e ho sentito il bisogno di portare questo vaso di fiori per ringraziare Pietro e Gesù”.

“Allontanati da me che sono un uomo peccatore”.

Pietro, che aveva faticato tutta una notte sul lago senza pescare nulla, al vedere le reti e le barche piene (la sua e quella di Giacomo e Giovanni) piene di pesci e cariche al punto da quasi affondare, non poté fare a meno di gettarsi in ginocchio davanti a Gesù ed esclamare: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore!” Pietro quel giorno colse in Gesù qualcosa di estremamente grande, di estremamente santo, di estremamente divino, tanto da non poterne sopportare la presenza. Quel Gesù aveva riempito le barche di pesci da un lago che pesci poche ore prima non ne aveva; quel Gesù non era soltanto uomo, non poteva essere soltanto un uomo! quel Gesù doveva essere più che un uomo, doveva essere Dio…

C’è una distanza infinita tra l’uomo e Dio; tra noi e il Signore. Dio è il creatore, noi siamo creatura. Dio è infinito, noi siamo limitati. Dio è eterno, noi siamo segnati dal tempo. Dio è onnipotente, noi siamo deboli e in tante cose impotenti. Dio è santo, il tre volte santo (Is 6,3), noi siamo peccatori. Dio è tutto, noi, senza di lui, siamo nulla. Dio e l’uomo: distanza infinita!

Sì, è vero, noi siamo suoi figli. Per sua bontà e condiscendenza noi possiamo rivolgerci a lui chiamandolo ‘padre’, anzi ‘papà’ (Rm 8,15); possiamo dargli del ‘tu’; ma non dimentichiamo: egli è Dio! è Dio!

Quale riverenza è necessaria quando ci mettiamo a pregare, a parlargli! Quale riverenza quando entriamo in una chiesa e siamo alla sua presenza! Quale adorazione quando partecipiamo ai divini misteri, la Messa, e lo riceviamo dentro di noi! Con quanta attenzione dobbiamo ascoltare la sua parola! è parola di Dio; non possiamo subito dimenticare la parola di Dio. Dio ci parla, e noi in breve tempo dimenticheremmo ciò che egli ci ha detto…? Non sarebbe irriverenza, questa? Dio ci abita col suo Santo Spirito, dobbiamo tenergli compagnia. Dio ci mette davanti la sua legge, non possiamo prenderla alla leggera; promettere di osservarla e poi non impegnarci seriamente a farlo. San Paolo ha una frase forte nella lettera ai Galati; dice: “Non ci si può prendere gioco di Dio” (Gal 6,7).

A Pietro che disse a Gesù: “Allontanati da me che sono un peccatore”, tutto compreso della distanza che lo separava da lui, Gesù rispose con una parola commovente: “Non temere, Pietro; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Anche a noi Gesù dice: “Non temere, non avere paura. Avvicinati a me; io voglio tenerti vicino a me. Non importa se sei peccatore; io sono il perdono dei peccati; e ho un compito da affidarti nella vita”.

Queste parole ci fanno bene, ci inteneriscono il cuore; ci fanno conoscere il cuore buono di Gesù. Noi andiamo a lui con fiducia e confidenza, ma non dimentichiamo mai che Dio è Dio!

 

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