13° Domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

(Gal 3,16-22;   Lc 17,11-19)

Belluno, chiesa di s. Stefano, 23 agosto 2015

Ci fu mestizia, ci fu sofferenza quel giorno nel cuore di Gesù. Aveva guarito dieci lebbrosi, e solo uno era tornato a ringraziare. Gesù avrebbe voluto lì da lui, tornati da lui, tutti e dieci i lebbrosi a ringraziare. Non tanto a ringraziare lui, quanto a ringraziare la bontà del Padre celeste che attraverso di lui li aveva guariti. E invece uno solo era tornato. Gesù restò male. La sua sofferenza appare chiara dalle sue parole: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?”

Possiamo pensare che la sofferenza di Gesù sia stata originata da una segreta pretesa? Dalla pretesa egoistica che alle volte si nasconde nel cuore di chi fa il bene, spingendolo ad attendere di essere ringraziato, e alimentando in lui la pretesa che il bene compiuto venga riconosciuto? Nulla di tutto questo nel cuore di Gesù; il cuore di Gesù era totalmente decentrato da sé e desiderava solo il bene altrui, il bene delle persone. Ce lo fa capire la finale del racconto, là dove Gesù dice al lebbroso ritornato: “Va’, la tua fede ti ha salvato”.

La gioia di Gesù per il lebbroso ritornato a ringraziare era causata non tanto dal riconoscimento nei suoi riguardi per il miracolo compiuto, quanto dal fatto che quel ritorno a ringraziare era diventato, per il lebbroso, “salvezza”. Come, d’altra parte e di riflesso, la sofferenza di Gesù era dovuta al fatto che gli altri nove lebbrosi, non tornando a ringraziare, si erano esclusi da tale salvezza. I nove lebbrosi erano stati solo “guariti”, il lebbroso ritornato a ringraziare era stato guarito e anche “salvato”.

Davvero il ringraziare è fonte di salvezza. Ce lo ricorda ad ogni Messa il Prefazio, che inizia con queste parole: “E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno”. E’ fonte di salvezza ringraziare Dio per i suoi doni. Uno dei prefazi, in particolare, dice: “Tu, Dio, non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie. I nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva”.

Ringraziare fa bene a noi, salva noi. Il Signore è contento che noi lo ringraziamo; chiede e ci esorta a ringraziarlo, perché egli sa che ciò fa bene a noi. Se dopo aver partecipato al mattino alla santa Messa e aver fatto la Comunione, durante il giorno ci ricordiamo del dono ricevuto, e ringraziamo il Signore per la Messa a cui abbiamo partecipato e per la Comunione che abbiamo ricevuto, quel dono di grazia continua ad agire in noi, opera ancora in bene in noi, ci porta ancora salvezza. Se dopo esserci andati a confessare noi ci ricordiamo del perdono ricevuto, e durante il giorno, la sera, il giorno seguente, ringraziamo per la misericordia che il Signore ci ha accordato, la grazia del sacramento del perdono continua ad agire in noi e ci tiene lontani dal peccato. Se ci ricordiamo di ringraziare Dio per una grazia ricevuta, per un pericolo scampato, per una prova superata, la salvezza di quei momenti rivive e si rinnova nella nostra vita dando gioia e letizia al nostro cuore.

“Va’, la tua fede ti ha salvato”, disse Gesù al lebbroso ritornato a ringraziare. Anche noi, salvati dalla nostra riconoscenza! Senza dimenticare che il ringraziare resta per noi anche un preciso e forte dovere. Abbiamo debiti infiniti nei confronti di Dio; da lui riceviamo tutto. Un “grazie” continuo deve fiorire sulle nostre labbra e salirci dal cuore; un “grazie” che si tramuta in obbedienza, in sequela, in amore.

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