10a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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 (1 Cor 12,2-11;   Lc 18, 9-14)

Belluno, chiesa di s. Stefano, 24 luglio 2016

“Humilitas” fu il motto episcopale scelto da mons. Albino Luciani, quando nel 1958 fu eletto vescovo.  A distanza di pochi giorni dalla consacrazione episcopale, il vescovo Luciani celebrò una Messa solenne nella sua parrocchia natale di Canale d’Agordo e ai fedeli suoi compaesani nell’omelia disse: “Non so che cosa abbia pensato il Signore, che cosa abbia pensato il Papa, che cosa abbia pensato la divina Provvidenza di me. Sto pensando in questi giorni che con me il Signore attua il suo vecchio sistema: prende i piccoli dal fango della strada e li mette in alto, prende la gente dai campi, dalle reti del lago e ne fa degli apostoli. È il suo vecchio sistema. Certe cose il Signore non le vuole scrivere né sul bronzo, né sul marmo, ma addirittura nella polvere, affinché se la scrittura resta non scompaginata, non dispersa dal vento, sia ben chiaro che tutto è opera e tutto è merito del solo Signore. Io sono il piccolo di una volta, io sono colui che viene dai campi, io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell’illustre diocesi di Vittorio Veneto. Se qualche cosa mai di buono salterà fuori da tutto questo, sia ben chiaro fin da adesso: è solo frutto della bontà, della grazia, della misericordia del Signore”.

Quanto diverso il sentire di sé del vescovo Luciani dal sentire di sé del fariseo della parabola che abbiamo ora ascoltato! Il fariseo era soddisfatto di se stesso , pienamente soddisfatto; si sentiva a posto perché non aveva rubato, non era stato adultero, digiunava frequentemente, pagava le decime prescritte fino all’ultimo centesimo… Che cosa poteva rimproverargli Dio? Non era egli forse pienamente in regola con lui? E invece quell’uomo aveva un piccolo difetto; si fa per dire ‘piccolo difetto’, perché la superbia è il più grande difetto che ci sia: quel fariseo era superbo. Tanto che di lui Gesù disse: “Quell’uomo se ne tornò a casa dal tempio non giustificato”, cioè non in comunione con Dio. La superbia stacca da Dio, tiene lontani da Dio, tiene chiusi ai doni di Dio. Dice la Sacra Scrittura: “Dio resiste ai superbi e dà la sua grazia agli umili” (Gc 4,6). Dice ancora: “Il Signore guarda verso l’umile, ma al superbo volge lo sguardo da lontano” (Sal 138,6). Dice ancora: “Chi ha occhi altezzosi e cuore superbo Dio non lo può sopportare” (Sal 101,5).

Via alla comunione con Dio non è la superbia, ma l’umiltà. Il pubblicano era umile. Sì, era peccatore, ma era umile, e fu giustificato. Egli se ne stava in fondo al tempio, con gli occhi bassi; neppure osava alzarli verso il Signore; si batteva il petto e diceva tutto compunto e confuso: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. “Io vi dico -disse Gesù- questi tornò a casa sua giustificato”. L’umiltà giustifica; la sincerità di cuore che riconosce i propri errori, e che non si erge a giudice del prossimo, come faceva il fariseo, giustifica, mette in comunione con Dio.

Papa Luciani dedicò la sua prima udienza generale del mercoledì alla virtù dell’umiltà, e disse: “Vi raccomando una virtù tanto cara al Signore; egli ha detto: ‘Imparate da me che sono mite e umile di cuore’ (Mt 11,29). Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama l’umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo, pentiti, restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili. Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra. Bassi, bassi: è la virtù cristiana che riguarda noi stessi”. Il mondo d’oggi non ha forse estremo bisogno di umiltà? Quanti conflitti, quanti soprusi, quanti delitti, piccoli e grandi, a causa della superbia e dell’ ‘io’ che vuole sovrastare, prevalere, dominare! Quanto mal stare anche tra di noi, alle volte, a causa dell’orgoglio e della superbia…

Il Signore Gesù, il vero ‘grande’, fu infinitamente umile. San Paolo canta l’umiltà di Gesù nel bellissimo inno della lettera ai Filippesi: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e a una morte di croce” (Fil 2,6-8). Ed esorta: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (v 5).

In noi ci sono, e coesistono insieme, il fariseo e il pubblicano; possa prevalere il pubblicano e venire messo a morte il fariseo; possa prevalere e vincere l’umiltà, ed essere sconfitta  sempre di più la superbia e l’orgogliosa affermazione di noi stessi.

don Giovanni Unterberger

 

 

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