11a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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1 Cor 15,1-10;   Mc 7,31-37

Belluno, chiesa di s. Stefano, 31 luglio 2016

“Effatà! Apriti!” Con questa parola Gesù aprì gli orecchi a un sordo e sciolse il nodo della lingua a un muto. Quel sordomuto era tenuto, dalla sua malattia, chiuso in se stesso. Chissà quanto desiderio avrà avuto  di comunicare, di udire e di parlare, di interagire con le persone, ma la sua sordità e il suo mutismo lo tenevano chiuso, legato in un doloroso isolamento.

Gesù lo guarì; lo rese capace di udire e di parlare. Chissà che gioia, che felicità, che tripudio dentro di sé avrà provato quel giorno quell’uomo! La sua vita era cambiata: non era più ‘chiusa’, era diventata ‘aperta’. E la gioia fu grande anche per le persone presenti al miracolo, tanto che -dice il Vangelo- cominciarono a parlarne e a divulgare il miracolo dappertutto, benché Gesù avesse chiesto di tacere. Vita ‘aperta’, persona ‘aperta’.

Dio, le cose, le ha create ‘aperte’. Così è la natura: il sole scalda, l’acqua bagna e disseta, la terra produce erba, fiori, frutti…; tutto il creato dona qualcosa di sé, è proteso al di fuori di sé. Anche l’uomo Dio lo ha creato ‘aperto’: gli occhi, gli orecchi, le narici, la bocca, le mani, tutti i pori della pelle sono altrettante porte che fanno dell’uomo un essere ‘aperto’; aperto verso il ‘fuori da sé’, verso gli altri. Vivere ‘aperto’ per l’uomo è vivere secondo la propria natura; chiudersi in se stesso -al contrario- è vivere ‘contro’ di sé, è farsi del male d soli. Eppure quanta fatica a rimanere ‘aperti’!

Tende a tenerci ‘chiusi’ la paura dell’altro, la paura del ‘diverso’. Ciò che non ci corrisponde perfettamente viene istintivamente sentito come un ostacolo, un problema, talvolta addirittura una minaccia; e ci si chiude. Tendono a tenerci ‘chiusi’ le ferite, le offese, le sofferenze che qualcuno può averci inflitto. E’ difficile rimanere aperti verso chi ci avesse fatto del male. Tendono a tenerci ‘chiusi’ i nostri progetti, i nostri schemi mentali, le nostre abitudini inveterate, le nostre rigidità, la stessa formazione ricevuta. Tutto ciò che ci ha strutturati in un certo modo tende a tenerci fermi in noi stessi. C’è chi è tutto fermo al passato, e non sa essere aperto a ciò che di buono, di vero e di valido porta il nuovo; e c’è chi è tutto proteso al nuovo e rifiuta ‘in toto’ il passato, compreso ciò che di buono, di vero e di eterno ha il passato.

Essere ‘aperti’, rimanere ‘aperti’ è questione di vita, di cammino, di crescita. Nell’essere ‘aperti’ c’è scambio, c’è comunione, c’è arricchimento; nello stare ‘chiusi’ c’è immobilismo, acqua stagnate, aria malsana. Lo stare ‘chiusi’ ci porta ad essere contro tutto e contro tutti; sempre scontenti. San Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi ci offe un’indicazione utile, dice: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Tess 5,21).

Gesù rese ‘aperti’ gli occhi e la lingua del sordomuto; Gesù ci vuole ‘aperti’. Essere ‘aperti’ ci rende somiglianti a Dio, che è totalmente ‘aperto’, aperto fino ad accogliere in sé ogni uomo e fino a dare se stesso ad ogni uomo. Di fronte alle nostre chiusure e sulle nostre chiusure chiediamo al Signore di pronunciare la grande parola “Effatà!Apriti!”, in modo che noi e ogni uomo nel mondo non siamo delle isole, ma siamo universi in comunicazione e in comunione; cuori che si aprono l’uno all’altro; cuori che si parlano; cuori che si accolgono; cuori che camminano insieme.

don Giovanni Unterberger

 

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