23° Domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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Fil 3,17-21;    Mt 9,18-26

Belluno, chiesa di s. Stefano, 23 ottobre 2016

C’è ancor oggi chi deride Cristo. Il giorno che a Cafarnao, ove era morta una ragazza di dodici anni, Gesù disse: “La fanciulla non è morta, ma dorme”, e stava per risuscitarla, fu deriso dalla gente. La gente lo derise. Quella gente avrà sussurrato: “Costui non è del tutto a posto; non si rende conto delle cose. Magari fosse vero, come dice lui, che la ragazza dorme e non è morta; ma, purtroppo, la ragazza è morta. Altro che dorme!’ E lo deridevano. Ancora oggi c’è chi deride Cristo; c’è chi lo considera uno di cui non tenere conto, e magari addirittura lo combatte e lo osteggia.

Noi, per grazia di Dio, non deridiamo Cristo, non lo combattiamo e non lo osteggiamo; ma abbiamo fede in lui? la fede del padre di quella ragazza, che ebbe il coraggio di chiederne nientemeno che la risurrezione; la fede dell’emorroissa, che ebbe il coraggio di credere che al solo tocco del mantello di Gesù sarebbe guarita dalla sua malattia? Abbiamo una fede così?

Ho letto recentemente sulla rivista “Tracce” una riflessione profonda sulla fede. L’articolista, don Julian Carron, parlava di ‘insicurezza esistenziale’. Sviluppava un pensiero di questo tipo: noi soffriamo un po’ tutti di insicurezza esistenziale; ci sentiamo insicuri, incerti, paurosi, sempre minacciati da qualcosa e da qualcuno; fragili imbarcazioni continuamente in pericolo di essere inghiottite dai marosi della vita. Soffriamo di insicurezza esistenziale. L’antidoto   -diceva don Carron- è la fede. La fede che radica in Dio, che radica in Cristo.

L’anima radicata in Dio, in Cristo, non soffre più di insicurezza esistenziale, è sicura, certa, serena, si fida di Dio, di quel Dio che ha detto: “Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo ad esserti fedele” (Ger 31,3); di quel Dio che ha detto: “Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, perché io sono il tuo salvatore. Tu sei prezioso ai miei occhi; tu mi appartieni” (Is 43,1.4); di quel Dio che ha dato il suo Figlio per noi, e “come potrebbe -dice san Paolo- non donarci ogni cosa insieme con lui?” (Rom 8,32); di quel Dio che ha detto: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11,25).

Siamo noi così radicati in Dio, in Cristo? Abbiamo questa fede? o siamo ancora molto radicati in cose umane, in cose di questo mondo, pur buone e non peccaminose, ma pur sempre umane, che potrebbero improvvisamente esserci tolte e venirci a mancare: un affetto, la salute, un progetto per cui abbiamo tanto lavorato, condizioni economiche sicure… Radicati in Dio, in Cristo; totalmente. Questa è ‘fede’; la fede che ci toglie dall’insicurezza esistenziale; la fede che ci dà la serenità e la pace, pur in mezzo alle difficoltà del cammino, pur vivendo in mezzo a situazioni segnate da insicurezza e da precarietà.

Gesù ebbe a dire: “Se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: ‘Spostati da qui a là’, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile” (Mt 17,20).

Gesù, tu ci dici: “Se avrete fede pari a un granello di senape…”. Vuoi forse dirci che la nostra fede non è neppure grande come un granello di senape? Sì, è vero, la nostra fede è ancora tanto poca e tanto piccola! Aiutaci tu a radicarci sempre di più in Dio, in te; in voi, che siete roccia ferma e salda, roccia che nessun uragano, nessun turbine e nessun mare burrascoso può smuovere e scalfire. In voi, roccia sicura di salvezza.

don Giovanni Unterberger

 

 

 

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