24° Domenica del Tempo ordinario 2017 (forma ordinaria)

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(Sir 27,30 – 28,7;   Rm 14,7-9;   Mt 18,21-35)

Duomo di Belluno, sabato 16 settembre 2017

 

Santa Rita nacque a Roccaporena, una frazione del Comune di Cascia, nel 1381. A diciotto anni fu data in sposa dai genitori a Paolo Mancini, il comandante di una guarnigione locale di soldati, uomo rissoso e violento che, proprio per le violenze compiute, nel corso di un agguato venne assassinato.

La vendetta fu l’impulso e il proposito di tutto il parentado dei Mancini, e in particolare dei due figli di Rita, che a tutti i costi volevano vendicare la morte del padre. La Santa si adoperò con tutte le forze a portare pace e invitare al perdono. Attestano le fonti storiche che Rita nascose accuratamente la camicia insanguinata del marito ucciso perché i figli non la vedessero, e non si sentissero spinti ancor più alla vendetta. Pregò ardentemente il Signore che liberasse il loro cuore dall’odio, e arrivò fino a chiedere che Dio se li prendesse con sé, piuttosto che arrivassero essi stessi a uccidere. I figli morirono poco dopo, pare di peste. Per la sua scelta radicale di perdonare, Rita dovette sopportare l’ostilità di tutti i parenti del marito, e addirittura trovò forti resistenze al suo ingresso nel monastero delle agostiniane di Cascia, per la presenza, tra le monache, di una Mancini, parente del marito.

Il perdono è necessario perché venga ad essere spezzata la catena della violenza. Lo sappiamo: violenza chiama violenza; violenza, in risposta a violenza, non fa che suscitare altra violenza. Il perdono è necessario perché si possa convivere insieme; siamo tutti difettosi, e tutti di continuo ci disturbiamo gli uni gli altri: modi diversi di pensare, sensibilità diverse, modi differenti di reagire di fronte alle cose e agli eventi; trascuratezze e negligenze nelle relazioni; insensibilità, offese, parole cattive, modi bruschi nel tratto, giudizi di condanna, infedeltà… c’è bisogno di perdono. C’è bisogno di perdono, e non solo sette volte, ma settanta volte sette (!), come dice Gesù.

Il perdono -ci attesta la psicologia, ma anche la semplice ragione- fa bene al cuore; e non solo al cuore di colui che si sente perdonato, ma anche al cuore di chi perdona. Chi perdona, col perdono si libera dall’offesa ricevuta, non ne resta prigioniero, vinto; si affranca dalla pressione cattiva e disturbante che l’offesa ricevuta tende a fargli di continuo sentire; e a farlo, quindi, stare male.

Molti sono i motivi umani che raccomandano il perdono, ma la Parola di Dio, nelle letture che ci sono state proclamate, ce ne presenta uno in più, e non di poca importanza, anzi di somma importanza! Non può sfuggirci la modalità, l’orizzonte in cui le letture ci hanno parlato di perdono: l’orizzonte è quello di Dio; non un orizzonte, quindi, solo orizzontale, di noi tra di noi, ma un orizzonte anche verticale, del nostro rapporto con Dio e del rapporto di Dio con noi. Il perdonare o il non perdonare non è affare che riguardi solo la nostra convivenza umana, ma è qualcosa che riguarda il nostro rapporto con Dio e il nostro destino eterno, la nostra salvezza eterna.

Il Siracide è stato chiaro: “Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come potrà chiedere la guarigione al Signore?”. E nel Vangelo il re della parabola è Dio stesso, è lui che chiede a noi di perdonare. Egli ci perdona, ci condona tutti i nostri debiti (diecimila talenti, una somma insolvibile), e ci domanda di condonare i ‘cento denari’ che il fratello ci deve, il torto che ci ha arrecato. Il re, sdegnato, diede il servo spietato in mano agli aguzzini; e “così anche il Padre mio celeste farà a voi -dice Gesù- se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”. Ne va della salvezza.

Sappiamo quanto sia difficile perdonare, specialmente certe offese, gravi, inflitteci magari dalle persone più vicine a noi che dovrebbero solo amarci. Eppure perdonare è necessario; il Signore ce lo chiede. E se ce lo chiede, significa che egli è disposto a darci la forza e la capacità di farlo. Non è pensabile che il Signore ci chieda una cosa che, con la sua grazia, noi non possiamo compiere. Sant’Agostino pregava: “Signore, dammi ciò che domandi, e domanda ciò che vuoi”. Preghiamo anche noi così, e con insistenza. Domandiamo la grazia di perdonare, e il Signore ce la concederà.

don Giovanni Unterberger

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