Ultima Domenica dopo Pentecoste 2017 (forma straordinaria)

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(Col 1,9-14;   Mt 24,15-35)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 26 novembre 2017

 

Un giorno san Francesco di Sales, passando per i campi, vide un contadino che seminava, e gli chiese: “Buon uomo, cosa state facendo?”  –  “Semino il grano”, rispose il contadino. E il santo: “Perché seminate?”  –  “Per mietere poi a giugno”, rispose l’uomo. “E perché mieterete?”  – “Per farne pane”  –  “E perché ne farete pane?”, incalzò il santo. “Per vivere”, rispose il contadino. E il santo: “E perché vivete?”  Il contadino, che non s’aspettava una simile domanda, rimase interdetto e non seppe cosa rispondere. “Noi viviamo per il paradiso -aggiunse il santo- noi siamo diretti là, al paradiso, che è la nostra vera destinazione, se avremo seminato bene, sia il grano come voi fate ora, sia tante altre buone azioni durante la vita”.

Questa domenica è l’ultima domenica dell’anno liturgico, ed era in un certo senso cosa obbligata che la Liturgia ci mettesse davanti il Vangelo che abbiamo ora ascoltato. Questo Vangelo ci parla, nella prima parte di un ‘ultimo tempo’ particolare: il tempo che avrebbe portato alla distruzione di Gerusalemme nell’anno 70 d.C. ad opera dei Romani, con grandi sofferenze della popolazione, con la distruzione del tempio e grandi rovine; e nella seconda parte dell’ ‘ultimo tempo’ prima del ritorno del Signore alla fine della storia. E’ un Vangelo che ci riporta alla verità delle cose, che ci rimette nella giusta prospettiva  del vivere, qualora l’avessimo dimenticata o, anche solo, non l’avessimo molto presente.

“Il cielo e la terra passeranno”, ci ha detto Gesù. Noi siamo immersi nel precario, nell’instabile, nel passeggero. Non è qui, in questo mondo, il definitivo. San Paolo stava facendo una catechesi ai cristiani di Corinto (la troviamo nella seconda lettera inviata a loro) e stava parlando di questa vita terrena che è disseminata di fatiche e di dolori; e a un cero punto dice: alziamo lo sguardo! C’è una grande gioia che ci attende, una gloria inimmaginata che Dio ci tiene preparata; possiamo avere speranza e fiducia, “perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne” (2Cor 4,18).

Ci sono cose invisibili che sono eterne, che sono grandi, che saranno capaci di riempirci, un giorno, il cuore fino in fondo e del tutto; proprio del tutto! A quelle cose noi dobbiamo guardare, su quelle fissare lo sguardo, quelle tenere davanti alla mente e nel cuore. Le cose invisibili! Vivere le cose visibili senza perdere di vista quelle invisibili: ecco la sfida. Alle cose visibili non attaccheremo il cuore più di quanto è giusto, più di quanto occorre. Le useremo bene, le cose visibili, perché sono creature di Dio, e perché il Signore ci ha messi a vivere in mezzo ad esse, ma non permetteremo che diventino idoli, che spengano in noi il desiderio di Dio, il desiderio del Cielo, di vivere per sempre la vita e la gloria che egli ci vuole donare.

Orizzonte largo! Diamo orizzonte grande al nostro vivere; saremo anche più capaci di portare le sofferenze e le fatiche del vivere quotidiano. “Tanto è il bene che m’aspetto, che ogni pena m’è diletto”, esclamava san Francesco d’Assisi. “Ut mentes nostras ad caelestia desideria èrigas, te rogamus, audi nos”, ci fa pregare la Liturgia nelle Litanie dei Santi: “O Signore, eleva, ti preghiamo, le nostre menti a desideri di Cielo”. Ne abbiamo bisogno, in questa ‘valle di lacrime’.

don Giovanni Unterberger

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