4a domenica di Quaresima (forma ordinaria)

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(2Cr 36,14-16. 19-23;   Ef 2,4-10;   Gv 3,14-21)

Duomo di Belluno, sabato 10 marzo 2018

 

E’ la pagina sintetica, ma chiara, di un preciso periodo della storia dell’antico Israele, la prima lettura che abbiamo ascoltato. Riferisce degli anni dal 609 al 538 a.C. Il cronista pone in grande rilievo lo scadimento religioso e morale del popolo del Signore; e non solo del popolo, ma anche delle guide politiche e civili di Israele, e degli stessi sacerdoti, le guide religiose. Tutti si erano allontanati da Dio, cedendo all’idolatria e ai culti pagani e, quello che era peggio, facendosi sordi a qualsiasi richiamo dei profeti. Risuonava in quegli anni, forte, la voce del profeta Geremia.

Avvenne la distruzione: Gerusalemme fu presa; l’esercito del re babilonese Nabucodonosor la invase, ne abbatté le mura, ne incendiò i palazzi, ne demolì il tempio, operò una massiccia deportazione dei suoi abitanti. Sembrava la fine. Ma Dio inviò un liberatore, un restauratore. Dopo sessant’anni di soggezione al potere nemico e di duro esilio, il re persiano Ciro, vinti i babilonesi, permise il ritorno in patria degli esuli ebrei, permise che fossero ricostruite le mura di Gerusalemme, addirittura stanziò un’ingente somma di denaro perché venisse riedificato il tempio. Fu una nuova alba per Israele. Ma un’alba ben più grande e ben più luminosa fu, per il mondo, la venuta di Cristo e la sua opera di salvezza. Non Ciro, ma il Figlio di Dio venne a redimerci e a prendersi cura dell’umanità.

Per amore. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”, ci ha detto l’evangelista Giovanni. E l’evangelista Giovanni ci ha anche lasciato intravvedere la misura di tale amore, con le parole: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”. E’ chiara l’allusione alla croce. La croce, quale supremo segno e attestato d’amore. “A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto -dice l’apostolo Paolo- forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,7-8); ed è morto in croce. Amore umanamente folle!

Questa domenica, quarta di quaresima, è detta la domenica ‘Laetare’, dalla prima parola dell’Antifona d’ingresso; antifona che nella versione italiana recita: “Rallegrati, Gerusalemme (siamo noi questa Gerusalemme), e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi all’abbondanza della vostra consolazione”.

La consolazione che ci deve consolare, la notizia, la realtà grande, che ci deve far gioire e rallegrare è che siamo amati; siamo stati amati fino alla croce, Forse la croce di Cristo non ci è sufficiente motivo di gioia. Forse nelle tristezze che accompagnano e segnano le nostre giornate, non ci è di grande aiuto dirci: ‘Però, sono stato amato fino alla croce; Cristo è morto per me, per i miei peccati; mi ha perdonato tutto, tutto, e io posso ora guardare al Padre con confidenza; posso guardarlo negli occhi senza paura e senza dover abbassare i miei occhi, perché ormai sono perdonato, riconciliato, salvato!’ Forse nelle nostre tristezze non ci viene neppure in mente questo pensiero… Non è allora che dobbiamo un po’ preoccuparci? Non è che l’amore a Cristo crocifisso non ci ha ancora veramente presi, non ci ha conquistati, ma ci ha solo toccati di striscio, e non riesce, più di tanto, a darci gioia? Lo amiamo davvero il Crocifisso?

La quaresima è tempo di conversione, e probabilmente tutti noi ci siamo fatti un programma di mortificazioni e di buone opere da compiere. Ma uniamo a ciò, se già non l’abbiamo pensato, il prendere in mano un crocifisso e stringerlo, e guardarlo, e contemplarlo per qualche istante, per qualche minuto. Abbiamo bisogno di sentirci amati, di venire consolati, di ricevere gioia. E allora anche ameremo.

 don GiovanniUnterberger

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