13a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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(Gal 3,16-22;   Lc 17,11-19)

 Belluno, chiesa di s. Pietro, 19 agosto 2018

I dieci lebbrosi che corsero incontro a Gesù per essere guariti, dovettero aver avuto fede in lui, cioè fiducia che Gesù li avrebbe potuti guarire, che ne sarebbe stato capace; e dovettero aver avuto speranza in Gesù, speranza che egli li avrebbe voluti guarire, li avrebbe guariti davvero; non sappiamo se avessero carità, se fossero uomini di carità.

 Fede, speranza e carità sono le tre virtù che abbiamo chiesto nell’orazione di Colletta; ne abbiamo chiesto un ‘aumento’: “Dio onnipotente ed eterno, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità”; così abbiamo pregato. Fede, speranza e carità sono dette virtù ‘teologali’, perché ci collegano direttamente a Dio (‘Dio’ in greco si dice ‘theòs’, da cui virtù ‘teologali’); mentre le altre virtù (pazienza, prudenza, bontà, fortezza, castità….) sono dette virtù ‘morali’ (da ‘mos, moris’, parola latina che significa ‘comportamento’), in quanto ci indicano il modo in cui comportarci, il modo in cui vivere. Le virtù teologali, collegandoci direttamente a Dio e mettendoci in relazione con lui, sono particolarmente importanti, perché ci pongono in relazione con la sorgente, con la fonte del bene, con colui che è la santità e la somma virtù, e che può darci la forza di vivere e praticare le virtù morali.

 E’ importante notare l’ordine, la successione, in cui le tre virtù sono enumerate: fede, speranza, carità. Per prima la fede: la fede è il fondamento, la radice, di ogni altra virtù; su quel fondamento poggiano, e da quella radice fioriscono, tutte le altre virtù. La fede è l’apertura della mente e del cuore a Dio; è l’orientamento della creatura verso il Creatore; è l’uomo che dice: ‘Tu, Dio, sei il mio Dio, sei il mio tutto; senza di te io sono niente; tu sei la mia salvezza, il senso del mio essere e del mio esistere; tu sei mio padre, colui che mi ama e che si prende cura di me, nel tempo e nell’eternità. Su di te io mi appoggio, di te io mi fido, te io scelgo”.

 Sulla radice della fede fiorisce la speranza, speranza ‘teologale’ che è certezza di essere nelle mani e nel cuore di un Dio buono, di un Dio che è solo salvezza e salvatore; speranza che dà pace, serenità e fiducia nella vita, in qualsiasi evenienza e circostanza pur faticosa e dolorosa, perché nulla Dio permette che non sia per il bene dei suoi figli, come afferma san Paolo (cfr Rm 8,28).

 Dalla fede, poi, e dalla speranza, nasce e germoglia la carità, l’amore; l’amore verso un Dio che è buono, che è amore e grazia, che merita di essere amato sopra ogni cosa, “con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze” (Mc 12,29). Il credente, che crede e spera in Dio, lo ama, gli vuole bene, ha un’unica preoccupazione, quella di non dispiacergli in nulla e di non offenderlo mai, di compiere sempre e in tutto la sua volontà, ciò che gli è gradito.

 Messo così in relazione con Dio dalle virtù teologali, l’uomo riceve da Dio la vita stessa di Dio, riceve il grande dono dello Spirito Santo, che diventa nell’anima dell’uomo il seme di ogni cosa buona, la forza per ogni virtù morale, la grazia per compiere ogni bene.

 Potrebbe essere che si fosse molto malati spiritualmente, con l’anima coperta dalla lebbra del peccato, ma se viviamo le virtù teologali, veniamo guariti, come furono guariti i dieci lebbrosi del Vangelo. Abbiamo bisogno di fede, di speranza e di carità; abbiamo bisogno di un ‘aumento’ di queste virtù; ed ecco allora la preghiera che in questa domenica la Chiesa ci mette sulle labbra, e che può diventare la giaculatoria della settimana: “Dio onnipotente ed eterno, aumenta in me la fede, la speranza e la carità”.

 

don Giovanni Unterberger

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