15a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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(Gal 5,25-26;   Lc 7,11-16)

                                                           Belluno, chiesa di s. Pietro, 2 settembre 2018

Quale grande potenza aveva Gesù! Imbattutosi in un corteo funebre che accompagnava un ragazzo morto alla sepoltura, lo risuscitò. Lo risuscitò con una sola parola: “Ragazzo, dico a te, alzati!”, e il morto si alzò a sedere sulla portantina su cui era disteso, e cominciò a parlare. La potenza di Gesù oggi non è diminuita; egli è ancora capace di risuscitare, di cambiare, di far rivivere. Non è solito risuscitare morti fisicamente, ma è all’opera per risuscitare morti e ammalati spirituali. Riandiamo alla prima Lettura, al brano di san Paolo, per individuare alcuni settori, alcuni ambiti di vita, su cui invocare la potenza di Gesù, la sua forza di guarigione, di risurrezione.

“Non cerchiamo la vanagloria”, esorta san Paolo. Il termine greco che egli usa è più forte, dice: “Non cerchiamo la gloria vuota”. E’ gloria ‘vuota’ quella che ci viene dagli apprezzamenti, dai riconoscimenti, dalle lodi degli uomini; è gloria vuota, perché non aggiunge nulla a ciò che siamo; così come, di converso, il disprezzo e la disistima della gente non toglierebbero nulla a ciò che siamo. Perché ciò che realmente siamo è ciò che siamo davanti a Dio, al suo sguardo, al suo cospetto.

Abbiamo forse necessità di essere risuscitati dal bisogno di venire considerati, apprezzati, lodati dagli uomini? Il Signore è capace di farci risuscitare da questa non buona e inquieta ricerca di immagine, per farci desiderare solo di essere grandi, belli e in ordine davanti a Dio.

San Paolo dice: “Portate i pesi gli uni degli altri”. Siamo ciascuno un peso per il prossimo. Non siamo solo un peso, siamo anche qualcosa di buono per il prossimo, ma siamo anche un peso; pur senza volerlo. Siamo infatti tutti imperfetti, e con le proprie imperfezioni (egoismi, chiusure, insensibilità, grossolanità, disattenzioni…) ci si disturba e ci si fa soffrire a vicenda. Ciò tanto più accade quanto più si è vicini e ci si trova a viver in contatto gli uni con gli altri, ad esempio da colleghi nello stesso ufficio, nello stesso reparto di fabbrica, per non parlare della vita matrimoniale, stato di vita in cui la vicinanza è continua e totale.

L’impazienza, l’insofferenza, fino alla repulsione e al rifiuto dell’altro, sono tanto facili, e potrebbero trascinarci in una situazione di distanza, di distacco, di avversione. Il Signore è capace di farci risuscitare da simile condizione, se vi fossimo caduti; egli è capace di dirci: “Dico a te, alzati!”, e rialzarci.

San Paolo avverte: “L’uomo raccoglierà ciò che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello spirito, dallo spirito raccoglierà vita eterna”. Noi siamo dei continui seminatori; continuamente poniamo degli atti, delle azioni, pronunciamo delle parole che sono altrettanti ‘semi’. Che tipo di semi sono? buoni? cattivi? Cosa produrranno questi semi? I semi diventeranno piante, produrranno frutti, ma che tipo di frutti?

Semi secondo la ‘carne’ sono tutto ciò che nasce dall’egoismo, dalla ricerca egoistica di sé, dal proprio ‘io’, dal proprio interesse, dal proprio smodato e impuro piacere. Tali semi, che promettono vita e felicità, in realtà producono corruzione, rovina, sofferenza, morte. Non ci è facile non essere seminatori di semi di questo tipo, di questa natura; e ci è difficile invece essere seminatori di semi secondo lo ‘spirito’.

Il Signore Gesù è forte e capace di farci seminare cose buone, cose che danno vita, gioia, pace, concordia, armonia, serenità. Che egli dica anche a noi, come disse al ragazzo di Nain: “Dico a te, alzati!”; e ci rialzi da qualunque situazione in cui ci troviamo.

 don Giovanni Unterberger

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