18a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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(1 Cor 1,4-8;   Mt 9,1-8)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 23 settembre 2018

 

L’episodio del paralitico di Cafarnao, a cui Gesù perdonò i peccati e che poi guarì anche dall’infermità fisica, non è del solo evangelista Matteo, anche Marco e Luca lo riportano (cfr Mc 2,1-12; Lc 5,17-26); ma Matteo ha, nel suo racconto, una parola che gli altri due evangelisti non hanno: la parola ‘coraggio’. Gesù disse al paralitico: “Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Questa parola ‘coraggio’ torna di nuovo poco dopo nel Vangelo di Matteo, là dove l’evangelista racconta la guarigione dell’emorroissa. Gesù disse alla donna, impaurita e vergognosa d’aver toccato il suo mantello: “Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata” (cfr Mt 9,21). Anche in questo caso Marco e Luca, che pure narrano l’episodio, non conservano sulle labbra di Gesù questa particolare parola (cfr Mc 5,25-29; Lc 8,43-48).

La parola ‘coraggio’ compare più volte nella Bibbia, punteggiandola qua e là, ad esprimere il cuore di Dio e la sua preoccupazione per l’uomo, che potrebbe facilmente smarrirsi e cadere nello scoraggiamento. Il regno di Giuda era stato conquistato dai Babilonesi e la capitale, Gerusalemme, era stata messa a ferro e fuoco (si era nel 587 a.C.). Erano state demolite le mura, bruciato il tempio, abbattute case e palazzi. Un gran numero di abitanti era stato deportato e viveva in esilio a Babilonia. Il profeta, in nome di Dio, intervenne a dare speranza: “Coraggio! Non temete, il vostro Dio viene a salvarvi” (Is 35,4); e un altro profeta, contemporaneo del precedente, il profeta Baruc, esortò: “Coraggio, figli miei, gridate a Dio ed egli vi libererà dall’oppressione e dal potere dei vostri nemici” (Bar 4,21. 30).

Cinquant’anni dopo, il popolo di Giuda tornò dall’esilio e si diede a ricostruire Gerusalemme, le mura, il tempio, a dissodare la terra rimasta per lungo tempo incolta, a ricomporre e ricostituire il tessuto sociale; e tutto ciò in condizione di estrema precarietà e difficoltà, con scarsità di mezzi e di risorse; e il profeta Aggeo, in nome di Dio, intervenne a dare fiducia: “Coraggio, Zorobabele; coraggio, Giosuè sommo sacerdote; coraggio, popolo tutto del paese, dice il Signore, e al lavoro, perché io sono con voi, il mio spirito è con voi, non temete” (Ag 2,4-5).

Possono verificarsi nella vita dell’uomo situazioni dolorose, di rovina, situazioni in cui sogni, ideali, aspirazioni grandi, progetti che sembravano solidi e duraturi, vengano a crollare, vengano meno, e noi restiamo colpiti, percossi, abbattuti. Il Signore ci dice: ‘Coraggio! Non temere, io verrò a portare salvezza’. Può accadere che ci si venga a trovare davanti a compiti e a impegni gravosi, compiti che non si sappia come svolgere ed affrontare, e ci si senta impari, inadeguati; e tuttavia siano compiti e impegni che non possono essere elusi, scansati. Il Signore ci dice: “Coraggio! Al lavoro, io sono con voi, il  mio spirito è con voi; non temete”.

Neppure una situazione morale compromessa, una vita segnata da molti peccati, un vizio radicato che non riusciamo ad estirpare, deve gettarci nello sconforto e nello scoraggiamento; Gesù dice anche a noi, come al paralitico di Cafarnao: “Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”, Il Signore non vuole che noi, suoi figli, ci sentiamo abbattuti e scoraggiati; egli conosce le nostre difficoltà, le nostre fatiche, i molti ostacoli che il cammino sulla terra ci mette davanti, e vuole aiutarci. Egli sempre ci incoraggia, ci dice; ‘Coraggio! Non avere paura’. Agli apostoli sul lago che lo videro venire loro incontro camminando sull’acqua, di notte, e, spaventati, lo scambiarono per un fantasma, egli disse: “Coraggio, sono io, non temete!” (Mc 6,50). Alle volte sono ‘fantasmi’le nostre difficoltà, alle volte sono situazioni dolorose reali; sempre il Signore ci dice: ‘Coraggio, non temere, io ci sono!’

E, ultimo rapido, pensiero: incoraggiamoci anche tra di noi, gli uni gli altri; abbiamo bisogno tutti di essere incoraggiati.

 don Giovanni Unterberger

 

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