Domenica della Sacra Famiglia (forma straordinaria)

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(Col 3,12-17;   Lc 2,42-52)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 13 gennaio 2018

Fa impressione questo Vangelo. Se ci chiediamo quale sia l’aspetto che risalta maggiormente nel quadro della Sacra Famiglia che qui Luca ci dà, è l’‘incomprensione’.

Giuseppe, Maria e Gesù salgono a Gerusalemme in occasione della festa di Pasqua. Gesù ha dodici anni, l’età in cui i ragazzi ebrei celebravano il ‘bar mitzvàh’, la cerimonia che li rendeva obbligati ad osservare la legge di Mosè e le varie prescrizioni del popolo di Israele. Possiamo pensare che Gesù, in occasione di quel pellegrinaggio, abbia celebrato il suo ‘bar mitzvàh’, diventando, come dicono le parole del rito, ‘figlio del comandamento’. Il rabbino, o il dottore della legge che guidava la cerimonia, teneva un’ istruzione al ragazzo e gli poneva delle domande sulla fede ebraica, elemento a cui l’evangelista Luca si rifà nel presentare Gesù attardatosi poi nel tempio ad ascoltare e ad interrogare i maestri di Israele, all’insaputa di Giuseppe e di Maria.

Accortisi che Gesù non era partito con loro, e non era nella carovana per il ritorno, Giuseppe e Maria tornano a Gerusalemme in cerca di lui. Lo trovano nel tempio, ed ecco l’incomprensione: “Figlio, perché ci hai fatto così? -gli chiede Maria- tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Giuseppe e Maria non capiscono il comportamento di Gesù. E Gesù non spiega più di tanto; risponde alla madre, ma con una risposta che non chiarisce o, per lo meno, che Giuseppe e Maria non comprendono: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. “Essi non compresero le sue parole”, nota l’evangelista.

Stupisce che all’interno della Sacra Famiglia ci sia incomprensione. Qui affiora l’incomprensione di Giuseppe e Maria nei confronti di Gesù; ma possiamo immaginare che ci siano stati momenti d’incomprensioni anche nella santa coppia, di Giuseppe nei confronti di Maria nel corso della loro vita quotidiana. Maria era la tutta santa, l’immacolata, la creatura che viveva una vita di sublime e profonda comunione con Dio, tutta immersa in lui; e Giuseppe non viveva a quelle altezze, segnato com’era dal peccato originale; per cui non sempre avrà capito Maria; la sua sposa gli sarà molte volte sembrata ‘mistero’. Ma ciò non portò disunione e conflitto in quella famiglia.

L’incomprensione non necessariamente porta disunione e conflitto. Occorre realisticamente mettere in conto che in ogni rapporto, in ogni relazione, anche la più stretta, come quella sponsale e famigliare, una certa dose e una certa misura d’incomprensione non possa non esserci. Siamo tutti diversi e ‘mistero’ gli uni agli altri, e ciò viene avvertito quanto più la relazione è stretta.

Ecco allora che deve venire in aiuto tutto un corredo di virtù, le virtù che san Paolo ha ricordato nell’epistola: “Fratelli, rivestitevi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza”. Soprattutto pazienza. In greco ‘pazienza’ si dice ‘ypomonè’, che alla lettera vuol dire ‘capacità di rimanere sotto il peso senza lasciarsi da esso schiacciare’. Le incomprensioni pesano; sia le incomprensioni nel senso di non capire il comportamento, gli atteggiamenti e le scelte delle altre persone, sia nel senso di non essere noi capiti e compresi dalle altre persone. La pazienza fa sì che si sappia portare tale peso senza creare divisione e rottura; sapendo invece conservare la comunione, la comunione possibile.

La Sacra Famiglia fu una famiglia unita, pur con i suoi momenti di fatica e d’incomprensione; ella aiuti le nostre famiglie, e tutti noi, a perseverare nell’unità e nella concordia; con grande pazienza.

don Giovanni Unterberger

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