3a domenica dopo l’Epifania (forma straordinaria)


Discorso della montagna e guarigione del lebbroso – Cosimo Rosselli – 1481-82

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( Rm 12,16-21;   Mt 8,1-13)

Belluno, chiesa di S. Pietro, 27 gennaio 2019

Quanta delicatezza e rispetto nei confronti di Gesù nei modi di fare del lebbroso e del centurione di Cafarnao! Il lebbroso gli si accosta con fede, sa che Gesù può guarirlo (di fatti dice: “Tu puoi guarirmi”), ma premette: “Se vuoi, tu puoi guarirmi”. Quale delicatezza! Pur pressato dalla sua malattia e dal bisogno di stare meglio, egli dice: “Se vuoi…”; si rimette alla libertà di Gesù, non vuole costringerlo, non pretende. Similmente il centurione di Cafarnao. Alle parole di Gesù: “Verrò a curare il tuo servo”, egli replica: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, che tu venga fino a casa mia; tu sei troppo grande e troppo importante perché ti debba scomodare al punto da venire in casa da me; guarisci il mio servo da lì ove sei”.

Delicatezza nei confronti del Signore. Noi l’abbiamo? Come trattiamo il Signore? Con delicatezza o, alle volte, con trascuratezza? Siamo grossolani con lui, superficiali, sbrigativi? Gesù è delicato, si rimette senza difese nelle nostre mani; e come un tempo si lasciò catturare, legare, flagellare, spogliare delle vesti e crocifiggere, così ancor oggi egli si offre alla mercé degli uomini, si lascia fare ciò che gli uomini gli vogliono fare.

Noi lo possiamo trattare bene, possiamo essere delicati con lui; lo siamo quando facciamo conto della sua presenza, presenza continua, di ogni momento, e non lasciamo passare ore senza rivolgergli il pensiero, senza dirgli un ‘grazie’, senza tributargli una lode, senza dirgli un ‘ti voglio bene!’.

Siamo delicati con lui quando la nostra preghiera non è distratta, meccanica, fatta per abitudine, ma quando, pregando, siamo coscienti di parlare a lui e che lui, il Signore, ci sta ascoltando.

Lo trattiamo con delicatezza, quando trattiamo con delicatezza la sua parola, non la lasciamo cadere presto in oblio, quasi non l’avessimo sentita.

E lo trattiamo con delicatezza quando trattiamo con delicatezza i nostri fratelli. Lo sappiamo: nel nostro prossimo si nasconde il Signore; “Qualunque cosa avrete fatto agli altri l’avete fatta a me”, ha detto Gesù (Mt 25,40). Ogni primo giorno dell’anno Gesù era solito assegnare alla mistica francese Gabrielle Bossis una ‘parola d’ordine’, come lui la chiamava; una frase, un’indicazione che doveva diventare il programma di tutto l’anno. Il primo di gennaio del 1938 Gesù le disse: “Quest’anno mi amerai nei miei fratelli. Fa’ loro quel che vorresti fare a me”. Quanto bisogno di delicatezza c’è nei rapporti interpersonali! Quanto, invece, alle volte, c’è ruvidezza, disattenzione, freddezza!

Ma se noi dobbiamo essere delicati nei confronti di Gesù, forse che egli non lo è nei nostri confronti? Gesù è delicatissimo con noi! Ci accompagna e ci segue quasi senza farsi percepire; si tiene nascosto e non si mostra in tutta la sua maestà, grandezza e splendore perché sa che, se lo facesse, ciò limiterebbe la nostra libertà: ci sentiremmo come costretti, costretti ad accoglierlo. Egli invece ci parla, ci suggerisce buoni pensieri, ci offre occasioni di crescita nel bene ma senza forzare, senza costringere, senza obbligare: rispetta fino in fondo la nostra libertà. “Ecco, io sto alla porta e busso”, egli dice nel libro dell’Apocalisse (Ap 3,20). E forse che Gesù non è delicato con noi peccatori? Mai ci sgrida, mai ci condanna; sempre ci accoglie, sempre ci perdona, sempre ci compatisce nei nostri sbagli e nei nostri errori. Egli è la delicatezza in persona!

Vogliamo oggi ringraziare il lebbroso e il centurione di Cafarnao per la lezione di delicatezza verso Gesù che, con il loro comportamento, ci hanno dato; e cercheremo di metterla in pratica nella vita. Vogliamo anche ringraziare tanto Gesù, perché a fronte delle nostre molte indelicatezze verso di lui, egli è sempre delicato verso di noi.

don Giovanni Unterberger

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